sabato 25 novembre 2017

SANTA CATERINA D'ALESSANDRIA: IL CULTO E LA DEDIZIONE SCANDIANESE

Immagine della Santa nel momento dell'esecuzione 


Il 25 novembre del 305 dc veniva uccisa Santa Caterina d'Alessandria. Era una giovane donna di 18 anni, di bell'aspetto e dalle nobili radici. Le sue colpe, secondo il Governatore d'Egitto, era di essere cristiana e rifiutarsi di convertirsi al paganesimo.
Dopo una lunga tortura sotto una grande ruota dentata veniva decapitata; una morte straziante che però la rese eterna, Santa.
Il suo martirio risuonò nei secoli avvenire e le genti intorno al Mar Mediterraneo tramandarono la sua figura e le sue gesta. Pensare che anche la condottiera Giovanna d'Arco sarà guidata da Santa Caterina d'Alessandria.

Qui a Scandiano il culto di Santa Caterina d'Alessandria è antico quanto la fondazione di Scandiano stessa. Infatti, nonostante si attesti a Giberto Da Fogliano la fondazione della cittadina, studiosi affermati, "armati" di documenti, attestano la fondazione di Scandiano (come castello) a Feltrino Bojardo, zio del "famoso" Matteo Maria Bojardo. Feltrino era stato un militare e servitore del Marchese di Ferrara, Modena e Reggio Nicolo III d'Este.
Oltre ad avere accompagnato il Marchese sui campi di battaglia, Feltrino andò con lui anche al Santo Sepolcro di Gerusalemme e proprio qui venne fatto Cavaliere.
Tornato in Patria Feltrino diventò il Primo Conte di Scandiano e qui spese tutto se stesso per rendere grande questa cittadina che ai tempi era insignificante, ma che grazie a lui diverrà una "Nobil Terra".

Tra le tante opere eseguite è ancora lì a sua testimonianza la Chiesa principale di Scandiano: Chiesa Grande. Fu edificata per suo volere e proprio lì, come da sua richiesta, venne sepolto nel 1456.
Dopo la sua morte Feltrino dava disposizione che a Scandiano si venerasse Santa Caterina d'Alessandria ed è proprio qui che comincia il culto e la dedizione scandianese alla Martire.
Qualche secolo più tardi, durante il Marchesato di Scandiano, verrà poi ufficialmente proclamata Patrona di Scandiano, era il 1729. Durante quel periodo, Scandiano era ancora un paesello medievale, "raccolto tra le mura del castello" e con le porte agli ingressi del paese. Era abitato da appena 3896 persone, divise tra Scandiano e le ville limitrofe. Scandiano paese contava appena 648 abitanti tra cui 67 ebrei e proprio loro, saranno i primi testimoni della Patrona.

Mappa edita dalla ProLoco di Scandiano: Rappresenta Scandiano a inizi '800, la Scandiano da me raccontata era circa uguale a quella della mappa.

Ogni 25 novembre, da quel lontano 1729, Scandiano da omaggio alla sua Patrona, un culto con radici antiche e profonde ma vive e vegete. Nonostante i secoli di storia che separano gli scandianesi d'oggi agli avi del passato, oggi l'intero paese mantiene viva quella tradizione che rappresenta anche la nostra identità.

Qui riporto il testo del decreto che dichiara Santa Caterina Patrona di Scandiano:
"a priore ed officialibus Communitatis Scandiani, ac a Repraesentantibus aliorum Locurum totius illius Marchionatus Diocesis Regii, electa nuper S. Cattharina V. ed M. in Patronum Principalem, modo pro illius confirmatione Sacrae Rituum Congregationi humillime supplicatum fuit ed Sacra eadem Congregatio, audita prius relatione Ordinarii, et attento quod huiusmodi electio ser. ser. et formam Decreti subdie 23 Martii 1630 super electiones Patronorum editi legitima facta fuerit, eundem approbavit et confirmavit ac S. Catharinae praedictae sic in Patronum Principalem electae, prerogativas mnes Sanctis Protectoribus Principalibus compae VI super celebratione Festorum, ac servatis Rubrics Breviarii et Missali Romani, attribuit atque concessit S. C. R . Die 9 aprilis 1729"

sabato 4 novembre 2017

4 NOVEMBRE 1918: IL GIORNO DELLA VITTORIA VISTO DA SCANDIANO

La Domenica del Corriere dedicata alla Vittoria: Il nemico, il barbaro aguzzino è disfatto e le terre fatte sacre da un anno di martirio tornano alla Patria. Il tricolore dei fratelli che aspettavano si leva fiero a baciare , nel fulgore della Vittoria, le lacere gloriose bandiere dell'Esercito Liberatore.


Man mano che arrivava l’autunno e finiva il 1918, le truppe italiane preparavano la grande controffensiva di Vittorio Veneto. Siamo sul Piave e sul Massiccio del Grappa, tra il 24 ottobre il 4 novembre, giorni in cui si decidevano le sorti del fronte italiano/austriaco. 
L’offensiva italiana travolgeva gli austriaci che, nonostante l’accanita resistenza, non potevano che arretrare passo dopo passo fino alla resa. L’ultimo bollettino di guerra prima della vittoria, veniva scritto da Diaz il 3 novembre 1918  “…Le nostre truppe hanno occupato Trento e sono sbarcate a Trieste. Il tricolore italiano sventola sul castello del Buon Consiglio e sulla Torre di S. Giusto. Punte di Cavalleria sono entrate a Udine”  

Il conto per gli austriaci fu salato, 400 mila soldati dell’Impero catturati e oltre 30 mila caduti, la resa era l’unica opzione. La vittoria italiana e la sconfitta austriaca anticipavano sicuramente la conclusione dell’intero conflitto, infatti l’11 novembre l’Impero germanico, senza più l’impero austriaco al suo fianco, firmava la resa.     Scriveva di quei giorni il Generale tedesco Erich Lunderdoff  “Nell’ottobre del 1918 ancora una volta sulla fronte italiana rintronò il colpo mortale. A Vittorio Veneto l’Austria non aveva perduto una battaglia, ma aveva perduto la guerra e se stessa, trascinando anche la Germania nella propria rovina. Senza la battaglia distruttrice di Vittorio Veneto noi avremmo potuto, in unione d’armi con la monarchia austro-ungarica, continuare la resistenza disperata per tutto l’inverno.”

Il giorno 4 novembre, il comandante supremo del Regio esercito, il Generale Armando Diaz, annunciava la vittoria all'Italia intera: “Comando Supremo 4 Novembre 1918, ore 12. La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, <duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso Ottobre ed alla quale prendevano parte 51 divisioni italiane, 3 britanniche, 2 francesi, 1 cecoslovacca ed 1 reggimento americano, contro 73 divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX corpo d'armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, dell'VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perdute quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecento mila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinque mila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Armando Diaz”

La guerra era finita e l’annuncio portava gioia e felicità nelle città italiane, tutte, anche a Reggio Emilia e a Scandiano. Questa data importante mi piace narrarla con le parole del “famoso” cronista locale che aveva vissuto in prima persona quelle giornate: “…attraverso il comunicato immortale di Diaz, a Scandiano, come in ogni angolo della Penisola, fu una grande ondata di gioia e di commozione che dilagò ovunque. Bombardieri e cittadini celebrarono, con suoni e grida festose, la indimenticabile data…” 
Il Belli fa riferimento ad una imponente manifestazione organizzata per il giorno di San Martino, l’11 novembre. Quel giorno circa 25oo bombardieri sfilavano per le vie del paese tra la musica e l'acclamazione cittadina, in una Scandiano tutta colorata dai tre colori della bandiera nazionale: il verde il bianco e il rosso. La popolazione  accorse affollando le strade e gli scandianesi offrirono ad ogni bombardiere sigari, vino e castagne, in segno di riconoscenza del grande sacrificio compiuto dai militari per salvare la Patria. Scriveva il Giornale di Reggio “…oggi Scandiano è tutto bello, festante e giulivo. La gente è più espansiva ed allegra, le case sono quasi tutte imbandierate e questa sera ogni finestra aveva il suo lampioncino. La musica ha suonato a lungo diversi pezzi suscitando l’entusiasmo del numerosissimo pubblico…”  

Oltre il Belli e le cronache dei giornali, voglio riportare anche le parole di Arnaldo Fantuzzi, un liceale scandianese che dal fronte, dopo tanti sacrifici, scriveva pieno di orgoglio alla sua famiglia di quei giorni: “Ricordandovi tutti e sicurissimo che questa splendida vittoria abbia soddisfatto i nostri sacrifici e i tuoi santi ideali, condividendo il tuo pensiero e la tua gioia, di più, orgoglioso perché anch’io nel mio piccolo vi ho contribuito, earamente baciovi tutti quanti in famiglia”.

martedì 24 ottobre 2017

24/10/1917 - 24/10/2017 A 100 ANNI DALLA BATTAGLIA DI CAPORETTO: LA DISFATTA RACCONTATA DA SCANDIANO

Siamo nel periodo della Grande Guerra e proprio oggi di 100 anni fa, si dava vita alla dodicesima battaglia dell'Isonzo, più conosciuta
come la battaglia di Caporetto.
Le truppe austro-ungariche fino a quel momento stavano più che altro sulla difensiva, prossime ormai ad un cedimento, solo con una spallata avrebbero potuto cambiare le carte in tavola a loro favore e così è fu. Rinforzate da truppe tedesche, quelle austriache studiarono un piano che avrebbe dovuto annientare le difese italiane e scendere nella pianura padana come un fiume in piena, ma per fortuna, sarà proprio un fiume a fermarli, quello del Piave, il fiume "Sacro alla Patria".


Foto della ritirata del "famoso" fotografo di Scandiano Umberto Brugnoli

La battaglia fu devastante, tantochè il termine Caporetto entrò nel linguaggio comune come sinonimo di "disfatta totale". I conti di quella battaglia per l'Italia furono drammatici, più di 11000 morti, 300000 prigionieri, 350000 sbandati, che fuggirono dal fronte per poi vagare nelle retrovie, 600000 esuli civili e materiale bellico come cannoni, mitragliatrici, 22 campi di aviazione, il tutto lasciato al nemico, la vittoria degli Imperi centrali era assoluta.
I soldati che scappavano dal fronte portavano un infinita tristezza e tanta paura alle popolazioni che li vedevano passare. In tutta Italia un gelido brivido attraversava ogni uomo, donna e bambino, ogni italiano poteva toccare fisicamente la paura.
Scriveva il cronista di Scandiano Aderito Belli di quei momenti: "...Scendevano le truppe infangate e taciturne, dai monti che avevano contrastato tante volte, fin colle unghie, al nemico, per inondare tutta la pianura padana di infinita tristezza...quale spostamento impressionante per la popolazione civile, qui rimasta in trepidazione, sulle incerte sorti della Patria". 
Quei "vaganti" trovarono tanta solidarietà a Scandiano dove la popolazione li accolse e li sfamò, racconta l'arcetano Pietro Artioli: "...Quando sono arrivati in questo villaggio un migliaio di soldati reduci della disfatta di Caporetto, laceri sporchi e affamati, io ho visto con animo lieto e commosso, che quasi tutta la popolazione di Arceto ha portato a quei poveri diavoli, il ristoro di un po di pane, di vino e di frutta e una stanza e un giaciglio perché potessero riposarsi...". 
La colpa di tale disfatta venne data ai soldati, mentre le colpe si scoprirono poi essere degli alti comandi e di Cadorna. I nostri soldati vennero travolti da una preparazione meticolosa dell'avversario e della incapacità dei vertici militari italiani, che si fecero trovare impreparati e senza piani di ripiego. Il soldato italiano fece quel che poteva e in molti casi si batté con valore in una battaglia impossibile da vincere.


Foto di Fantuzzi Arnaldo

Riporto una lettera di un giovane scandianese, Fantuzzi Arnaldo, che dal fronte scriveva al padre proprio in quei giorni, fiducioso di una riscossa nazionale:
“Non farti un cattivo concetto del nostro Esercito, perché come ben disse un poeta, l’antico valor degli italici cor’ non è ancora morto;  infatti ci siamo ritirati, ma ora lì (gli austriaci) abbiamo fermati  e forse per sempre, e se non ora, ma a primavera li ricacceremo con la medesima celerità  e forse più oltre.”

Quella riscossa annunciata nei giorni di Caporetto dal giovane Arnaldo avvenne e se dal nome Caporetto, oggi tutti pensano ad una "disfatta" con Vittorio Veneto tutti riconoscono la rinascita d'Italia, la vittoria tra le vittorie. 
Questo giorno lo dedico ricordando quel giovane scandianese che all'età di appena 18 anni, pieno di fiducia, salverà l'Italia. 

domenica 24 settembre 2017

L'ANGELO ITALIANO, LA STORIA DELLO SCANDIANESE ALESSANDRO SPADONI

Foto di Alessandro Spadoni 

Oggi di esattamente 100 anni fa, moriva il Cappellano Militare Alessandro Spadoni. Il giovane scandianese era un uomo di fede e come ci riporta il cronista Aderito Belli era “una promessa del clero reggiano”. 
Fin da ragazzo sentiva la vocazione religiosa e a 12 anni entrava nel Seminario di Marola.
Oltre la fede era anche un brillante studente, frequentava il Liceo “Spallanzani” di Reggio Emilia dove ottenne la licenza distinguendosi tra gli alunni, diceva un suo professore uscendo dall’ aula dove si tenevano gli esami: “Non ricordo d’aver assistito mai ad esami così splendidi”.
Nonostante continuava in seminario la sua strada religiosa, si iscriveva presso l’Università di Bologna nel novembre del 1912. 
Il 9 agosto 1914 diventava sacerdote e il 10 celebrava la sua prima messa nella chiesa di Pratissolo.
Il 1915 si apriva con la preoccupazione della guerra, scriveva nel gennaio “Sono a Bologna, iscritto al terzo anno di scienze naturali. La voglia di studiare non mi manca, ma temo che i pubblici avvenimenti vengano a rompere tutti i miei disegni. C’è un grande odore di polvere nell’aria.” Nel maggio veniva richiamato sotto le armi e partiva come Cappellano Militare. 
Il 24 di quel mese l’Italia entrava in guerra e il giovane sacerdote prendeva servizio presso l' ospedaletto da campo N°29. 
Già dopo un giorno dallo scoppio del conflitto poteva vedere con i propri occhi il dolore del fronte, annotava: “Messa in Duomo-Assistenza ammalati-giunge il primo ferito….pessima notte.”  Sarà solo l’inizio, i feriti aumenteranno esponenzialmente e così gli ammalati e i morti. 



Foto di Alessandro Spadoni con degli ufficiali nell' Ospedaletto N 29

Alessandro, come tanti altri cappellani militari, faceva la guerra così, stando vicino a chi aveva bisogno di una preghiera, di un conforto, di una carezza. 
Purtroppo il rischio contagi era molto elevato per chi viveva in mezzo gli ammalati e infatti l’11 settembre del 1917, il giovane sacerdote si sentì male e veniva ricoverato. Trasferito poi in un vicino Ospedale per avere le migliori cure, la sera del 24 le cose precipitarono e spirava la notte stessa.
Di Alessandro Spadoni voglio ricordare un passaggio che mi ha colpito molto, l’amore e l’affetto che provavano nei suoi confronti le popolazioni dove prestava servizio, slavi in questo caso, che lo chiamavano “l’angelo italiano”. 
Scriveva di Spadoni il parroco di Bergogna, frazione di Caporetto, al Prevosto di Jano  “Quando Don Alessandro passava, i popolani se l’additavano vincendevolmente, sussurrando: <<passa l’angelo italiano>>, mentre nel loro dolcissimo linguaggio gl’indirizzavano il saluto cristiano <<sia lodato Gesù Cristo>> cui egli, non meno dolcemente, e sorridendo rispondeva nella loro parlata: <<Amèn vèkomaj>>(sempre sia lodato).”
Proprio ora, in vista del centenario, 1918-2018, l’Ateneo di Bologna vuole conferire la Laurea Postuma ad Honorem per gli iscritti alle facoltà, che caduti al fronte, non poterono concludere gli studi. 
La lista è composta da 46 nominativi e tra loro c’è "l'Angelo Italiano" Alessandro Spadoni.



Foto della Lapide nel cimitero di Pratissolo, Scandiano RE.



giovedì 3 agosto 2017

MARIO POLISCENI, EROE IRREDENTISTA SCANDIANESE

Mario Polisceni in partenza per il fronte
Nella Grande Guerra diventeranno una sorta di mito gli irredentisti, ossia gli italiani che vivevano sotto dominio austriaco e che volevano la liberazione della terra natia anettendosi alla madre patria Italia.  Non a caso ”terre irredente” vuole dire “terre non ancora liberate”

Passeranno alla storia Cesare Battisti, Nazario Sauro, Guglielmo Oberdan, Damiano Chiesa e così via, ma io voglio parlare di un irredentista che ha dato la vita per liberare la sua terra dal dominio straniero e allo stesso tempo era legato a Scandiano, mi riferisco a Mario Polisceni.
I Polisceni, venivano dalla Val di Sole, precisamente da Cusciano TN. Trento era popolata per lo più da italiani che vivevano sotto il dominio austriaco; il risorgimento da loro si fermò con Garibaldi alle porte di Trento nel 1866, con il suo famoso “OBBEDISCO”.                                                                        
Nei primi del 900 Domenico Polisceni, papà di Mario, scendeva dal trentino verso la pianura lasciando a Cusciano la moglie e i figli. Sapeva lavorare il rame e cercava fortuna lontano da quelle montagne in cui si sentiva straniero.            
Il destino lo portava a Scandiano e qui, dopo un primo momento in cui provava ad inserirsi, faceva scendere alcuni dei suoi figli: Bortolo, Aurelio e Costante, tutti e tre fratelli di Mario.                                                      
In Trentino invece la tensione saliva sempre di più, gli irredentisti chiedevano più libertà e tutela dell’italianità, ma in risposta ricevevano più repressione e in alcuni casi si arrivava a scontri con morti e feriti. Mario a differenza dei suoi fratelli cresceva in tutto questo. La polizia austriaca era temutissima, bastavano pochi Gendarmi a tenere buoni tanti italiani, ma c’erano tra loro italiani che non abbassavano il capo, non tolleravano tutto questo, erano pazzi? erano incoscienti? erano sognatori? forse erano tutto questo e Mario era tra loro. Un giorno preparò dei petardi da lanciare contro i gendarmi, voleva che anche loro provassero un po di paura, che sentissero per una volta quello che provavano gli italiani. Quella bravata gli costò caro, infatti veniva incarcerato nel comando austriaco a Fucine. 

Allo scoppio della guerra, il 28 luglio 1914, le cose per gli italiani in trentino cominciarono a peggiorare e Mario, assillato dalla madre che gli chiedeva di partire, raggiunse suo padre e i fratelli a Scandiano, era l’agosto del 1914. Veniva ad abitare a Piazzale della Posta, oggi Piazza Laura Bassi, al numero civico 54. Lavorava il rame con i famigliari ma quando l’Italia entrò nel conflitto, il 24 maggio 1915, Mario si presentò volontariamente al Comando militare, voleva combattere e liberare la sua terra dal dominio austriaco. Partito e inquadrato nel 208° Reggimento Fanteria, Mario prese parte ai combattimenti a Passo Buole, definite le "Termopoli d'Italia." 
Il giovane irredentista combatté come un leone ma in quelle trincee veniva sopraffatto da un'arma micidiale e invisibile, la malattia. Il 3 agosto 1916, infatti, dopo un brevissimo periodo di febbre altissima, Mario spirò in un letto d'ospedale da campo. Purtroppo non vide mai la liberazione della sua terra ma il suo trentino, grazie anche al suo contributo, dopo la guerra venne annesso all'Italia.

Dopo il conflitto Mario venne inserito nell'Albo dei caduti scandianesi e fu menzionato nella Lapide alla Memoria dei caduti trentini nel sacrario di Rovereto, trentini come lui, che da italiani combatterono per l'Italia. 

Tomba della Famiglia Polisceni nel cimitero cittadino di Scandiano

I suoi fratelli rimasero a Scandiano anche dopo la guerra, anche quando il trentino diventò finalmente italiano, ormai Scandiano era casa loro. 
Bortolo acquistò casa nella nuova arteria della Scandiano Nuova, in via Fogliani e suo figlio, Giacomo Polisceni sarà anche dottore nell’ospedale cittadino Cesare Magati. 
Ancora oggi la tomba di famiglia, che si trova all'ingresso del cimitero cittadio, ne testimonia l'appartenenza alla comunità scandianese.

venerdì 7 luglio 2017

7 LUGLIO 1917 MORIVA FELICE ALMANSI, UNA FAMIGLIA SACRIFICATA PER LA PATRIA

Foto e Lapide Di Felice Almansi eretta dalla Famiglia Foto di Marco Montipò

La famiglia Almansi era una famiglia ebrea radicata a Scandiano fin dalla metà del '600 con Abraham Almansi.
Questa famiglia parteciperà a tutte le tappe storiche per l’unità d’Italia, partendo dai tempi delle insorgenze, periodo napoleonico, fino ad arrivare alla Grande Guerra. 
Generazione dopo generazione, per oltre un secolo, gli Almansi combatterono imbracciando i fucili   per la liberazione d'Italia.
Gli ultimi combattenti di questa patriottica famiglia furono i fratelli Aldo e Felice, figli di Luciano Almansi. 
Entrambi i fratelli moriranno a causa di una malattia contratta in Guerra, il primo in Grecia, nella prima guerra balcanica e il secondo nella Grande Guerra.
Oggi voglio parlare di Felice Almansi, perché il 7 luglio di oltre100 anni fa, moriva a causa di una malattia contratta in Guerra, nella Grande Guerra. 
Felice nasceva a Scandiano nell'aprile del 1892 e portava il nome del nonno. Era il primo di quattro figli, di cui 2 femmine e 2 maschi.
Durante la Grande Guerra partiva per il fronte senza esitazione con il grado di Sottotente. La famiglia Almansi era interventista e come da tradizione, Felice portava sulle sue spalle una storia famigliare di eroi e combattenti lunga oltre un secolo.
Purtroppo in quelle trincee contraeva una malattia, come moltissimi soldati italiani e trovava la morte il 7 luglio 1917.
Sappiamo che Felice Almansi fu un bravo soldato, come i suoi antenati e lo testimonia un cippo commemorativo eretto in suo onore da chi era con lui al fronte. Il cippo è nel cimitero ebraico di Scandiano e ad oggi l'epigrafe è ormai illeggibile ma per fortuna sul libro di Lazzaro Padoa ne troviamo la trascrizione "Alla sua fede Ossequente, all'altrui rispettosissimo, alti i cuori e la mente, molto prometteva alla patria l'aspirante Felice Almansi defunto il 7 luglio 1917. Alla memoria sua gli ufficiali e i soldati della 2°batteria artiglieria di Campagna addolorati. Forno di Canale Cadore."

Cippo Commemorativo eretto in onore di Felice e foto di Aldo Almansi
Purtroppo Luciano Almansi vide morire entrambi i suoi figli maschi, Aldo nel 1914 e Felice nel 1917 entrambi caduti per un idea, per un amore, per il proprio paese. Questi due fratelli saranno gli ultimi combattenti di questa patriottica famiglia scandianese che donò tutto per la Patria. A oltre cento anni da quel 7 luglio 1917 sono qui a ricordarli e a tramandare la loro storia, perché il tempo non li cancelli, perché Scandiano li ricordi. Se l'Italia è stata fatta è anche grazie a loro e qui, in queste righe, li ricordo con orgoglio da italiano e da scandianese.

Marco Montipò 

sabato 17 giugno 2017

LA FUGA HOLLYWOODIANA DEI PRIGIONIERI AUSTRIACI DALLA ROCCA DEI BOJARDO

Cartolina ufficiale del Campo di Prigionia di Scandiano. Fronte. Collezione Giuseppe Ruini


Cartolina ufficiale del Campo di Prigionia di Scandiano. Retro. Collezione Giuseppe Ruini


Siamo nel periodo della Grande Guerra e dal settembre 1915 la Rocca dei Bojardo si trasformava in un campo di prigionia ospitando un migliaio di prigionieri austriaci. Sappiamo che il loro “soggiorno” non era particolarmente duro, soprattutto i primi mesi dove, come ci racconta nei suoi diari il prigioniero Francesco Zanettin "regnava l'ozio e la noia". Nonostante tutto era pur sempre una prigionia e da reclusi la voglia di libertà era sempre presente. 

Tra le mura della Rocca, 4 detenuti progettavano un evasione Hollywoodiana e armati di un coltellino scavarono un tunnel nel muro esterno del castello, di ben 2 metri e mezzo di spessore. Il tunnel era largo appena 70 cm in entrata e 40 in uscita, una sorta di imbuto. Ci misero dei mesi e tanta pazienza, ma tempo ne avevano a volontà e la pazienza se in gioco c’è la libertà, si trovava. 

I 4 militari austriaci erano tutti ufficiali e la notte di domenica 18 giugno 1916 la loro impresa riuscì, infatti quella notte il tunnel vedeva la luce e tutta la loro fatica era ricompensata. Quella notte si prestava benissimo per la fuga, il cielo era carico di nuvoloni neri e il forte vento scuoteva gli alberi, quell’aria di tempesta avrebbe camuffato i rumori che inevitabilmente si sarebbero prodotti durante la fuga. 

Il buco era fatto e ora bisognava solo uscire e calarsi a terra, ma tra il buco e la terra ferma c’erano 12 metri di vuoto. I prigionieri unirono delle lenzuola e coraggiosamente si calarono nel vuoto, i primi tre toccarono terra mentre il quarto veniva sorpreso dalle guardie poste a vigilanza. I soldati italiani spararono 5 colpi di fucile che risuonavano come un eco nella tranquilla cittadina scandianese.  Agli spari i primi tre fuggiaschi scapparono velocemente e si dileguarono, l’ultimo invece, mentre provò a scappare veniva fermato dal bersagliere scandianese Braglia Cesare, che in quel momento si trovava a casa in licenza. Braglia sentendo gli spari accorse per capire cosa stava succedendo, arrivato si trovava davanti quel prigioniero che non parlava nemmeno italiano, Braglia puntò la carabina al fuggiasco e gli intimò la resa, la sua libertà finì in quel momento, davanti a quel fucile.  Arrivavano anche i carabinieri che dopo essersi complimentati con l’ufficiale dei Bersaglieri ammanettavano il fuggiasco e lo riconducevano nelle galere della rocca. 

Subito partivano le ricerche dei soldati e dei carabinieri per gli altri tre, ma senza successo. Il giorno seguente arrivava una chiamata da Correggio, erano le 18.30 e i carabinieri in servizio in quel luogo avevano arrestato i tre fuggiaschi, venivano sorpresi nella zona di Fosdondo. 
In serata venivano ricondotti anche loro nella Rocca dei Bojardo e anche se solo per un giorno, i 3 fuggiaschi, avevano potuto assaporare la libertà nelle campagne scandianesi. Questa parentesi dei 4 prigionieri austriaci sarà l’unica di tutto il periodo di detenzione degli austriaci, nessun’altro tenterà nulla del genere, anzi, i prigionieri saranno invece ricordati negli anni avvenire per la strada che da Ventoso va sul Monte delle 3 Croci, costruita da loro durante la prigionia. Questa importante infrastruttura, ancora oggi esistente, sarà apprezzata da generazioni e generazioni di scandianesi.

MARCO MONTIPO'







domenica 14 maggio 2017

LO "SCANDIANESE" MARIO PELLEGRINI CHE DOPO L'AZIONE DEL 14 MAGGIO 1918 DIVENTO' L'EROE DI POLA

Foto di Mario Pellegrini


Siamo nel 1918 e il mondo era in guerra. Il conflitto si combatteva anche per mare e già dal 1916, nell'Mar Adriatico, la Regia Marina italiana sperimentava attacchi ad opera di piccoli motoscafi siluranti denominati MAS (motoscafo armato silurante). Queste unità di guerra erano temute perché imprevedibili e comandate solitamente da marinai coraggiosi e disposti a tutto. Fu lo stesso Gabriele d'Annunzio, infatti, durante la beffa di Buccari a coniare in quella sigla (MAS) il motto che lì fece diventare leggendari: Memento Audere Semper.

Una delle imprese più ardite fu certamente quella della notte tra il 13 e il 14 maggio quando alcuni marinai italiani tentarono un arditissima azione: forzare il porto di Pola e silurare le navi austro-ungariche ancorate sicure nel porto. L'impresa era davvero difficile poiché il porto era sottoposto a una notevole sorveglianza. Il porto di Pola, infatti, era cruciale nella guerra nel Mar Adriatico. Per l'occasione furono concepiti delle unità navali eccezionali, dei barchini saltatori che avrebbero dovuto eludere le ostruzioni nemiche all'ingresso del porto.
Tra i marinai selezionati per l'impresa c'era lo "scandianese" Mario Pellegrini che, offertosi volontario, aveva il comando dell'operazione. Pellegrini era uno scandianese di adozione perché nativo di Vignola, già all'età di un anno venne a vivere con la famiglia a Scandiano. Non solo, sia il padre che il nonno di Mario erano nati a Scandiano e qui, nella cittadina che diede i natali al poeta Matteo Maria Bojardo, i Pellegrini avevano proprietà e interessi. Vincenzo Pellegrini, padre di Mario, per esempio, era stato anche Assessore nella cittadina scandianese.

Tornando all'impresa, a bordo del motoscafo oltre Pellegrini c'erano: Miliani Antonio, Francesco Angelino e Giuseppe Corrias.
Il barchino saltatore denominato Grillo, con a bordo Pellegrini e gli altri, fu portato davanti il porto di Pola dal MAS 95 guidato da un altro marinaio italiano, Gino Montipò.

Partito per l'azione, il Grillo doveva superare 5 sbarramenti ma già dopo il primo l'imbarcazione veniva individuata e un serrato fuoco nemico provava a fermarla. Con notevole coraggio i marinai italiani continuavano la missione e superavano la seconda e la terza di linea di sbarramento. Alla quarta però un altro motoscafo solcò le acque del porto, era austriaco e puntava sull'imbarcazione italiana. Sotto il fuoco delle artiglierie terrestri, delle navi ed ora del motoscafo austriaco, Pellegrini capì che non c'era più scampo e con estrema lucidità decise di affondare l'imbarcazione. I 4 marinai italiani vennero raccolti dalle acque e fatti prigionieri, uno di loro era anche ferito, era Francesco Angelino e gli fu amputato il braccio.

L'impresa fu pubblicata sui giornali nazionali ed esteri, addirittura anche la Camera dei Deputati rese omaggio a Pellegrini e ai marinai italiani: lo scandianese Mario Pellegrini diventò un Eroe nazionale.
Il 2 giugno 1918, in occasione della Festa dello Statuto, l'Amministrazione comunale scandianese fece affiggere un manifesto in cui esaltò l'operazione di Mario Pellegrini "...con una Marina che-ripetutamente impostasi all'ammirazione dei popoli per le sue epiche gesta-scrisse pur ieri una mirabile pagine della sua storia mercé l'eroica e leggendaria impresa di Pola, nella quale-lo diciamo con legittimo orgoglio-fu protagonista un nostro concittadino di adozione, il Capitano Mario Pellegrini..." Dopo il conflitto Pellegrini divenne un Eroe della Regio Marina e continuò una brillante carriera arrivando a ricoprire il grado di Ammiraglio di Divisione. Morì nel 1954 e in suo onore, la cittadina di Scandiano gli dedicò una delle vie principali più importanti del paese: Via Mario Pellegrini.


Fonte: archivio storico del Comune di Scandiano


In suo onore, proprio in questa giornata, si riporta la motivazione della Medaglia d'Oro al Valor Militare che gli fu concessa per l'azione di Pola:
"Con sublime spirito di sacrificio e supremo disprezzo di ogni pericolo, si offriva volontario al comando di un motoscafo destinato a forzare il porto di Pola. Con meraviglia e audacia e salda volontà, affrontando intrepido mortali pericoli, penetrava nel porto nemico, mirabile esempio di ogni militare virtù. Pola 14 Maggio 1918"





domenica 7 maggio 2017

Nel maggio del 1839 nasceva Giuseppe Almansi, uno scandianese che fece l'Italia.

Immagine della "famosa" Battaglia del Volturno, a cui Giuseppe Almansi partecipò


Nel maggio del 1839 nasceva l'ebreo scandianese Giuseppe Almansi. Ardito Patriota di pensiero filopiemontese, spese tutto se stesso nelle guerre risorgimentali per l'unità d'Italia.

Appena ventenne partì volontario per andare in aiuto al Generale Giuseppe Garibaldi e i suoi famosi "1000". Si arruolò nella "Brigata Sacchi" che contava oltre 2000 volontari. Tale brigata si adoperò per l'attraversata dello stretto di Messina e sempre loro furono l'avanguardia nell'avanzata in Calabria. Partecipò alla Battaglia di Santa Maria Capua Vetere e sempre lo scandianese Giuseppe Almansi sarà tra quei volontari che vide in prima persona la capitolazione dell'esercito Borbonico.
Medaglie e attestati Reali gli attribuiranno il merito avuto per l'Unità d'Italia e fino ai suoi ultimi giorni li conservò con orgoglio. Tornato a Scandiano si dedicò al Tempio israelitico cittadino.

Foto dell'antico Ghetto ebraico scandianese


Moriva nel febbraio del 1906 e nella Lapide del cimitero ebraico di Scandiano riporta l'epigrafe "A perenne memoria di Giuseppe Almansi, volontario garibaldino,sposo e padre esemplare. Dette tutto se stesso alla Patria e alla famiglia. La moglie e le figlie Maggio 1839 - Febbraio 1906"

sabato 25 marzo 2017

ORA LEGALE: LA SUA STORIA E LE ORIGINI RACCONTATE DA SCANDIANO

Manifesto del 1917  Fonte: Archivio del Comune di Scandiano b249

Questa notte bisognerà mettere avanti l'orologio di un ora, tornerà l'ora legale. Per tutti noi è una cosa normalissima, una modifica dell'orario che facciamo da sempre, almeno così crediamo. La sua storia invece è abbastanza recente e si annida nei tremendi giorni della Grande Guerra.

Già nella seconda metà del 1700, l'inventore del parafulmine, Benjamin Franklin avanzava l'idea di spostare le lancette degli orologi ma purtroppo per lui i tempi non erano ancora maturi. Sarà invece la Grande Guerra e la necessita di risparmiare energia, che diedero un continuo a quelle proposte avanzate oltre un secolo prima da Franklin. Nel 1916 Londra dava il via libera allo spostamento delle lancette e concretizzava quelle idee che fino a quel momento erano solo teoriche.
Alcuni paesi seguirono l'esempio inglese e tra questi l'Italia, che con un Decreto Reale del 25 maggio 1916 abbracciava le idee d'oltre Manica e iniziava l'Era del Risparmio Energetico.

Questo cambiamento doveva arrivare in ogni Comune, ad ogni cittadino italiano e la macchina organizzativa del Regno si metteva in moto. I Prefetti davano comunicazione ai sindaci e il 29 Maggio del 1916 quello di Reggio Emilia scriveva al Sindaco di Scandiano Venerio Zuccoli per avvisarlo di tale cambiamento.

 Fonte: Archivio Storico del Comune di Scandiano b247
Venerio Zuccoli doveva annunciare alla popolazione scandianese, che fino a quel momento era ignara di tale cambiamento, che per il giorno 3 giugno avrebbero dovuto spostare le lancette degli orologi.
"Con Decreto Luogotenenziale 25 maggio 1916 N°631 è stato approvato l'anticipo dell'ora legale, per cui dalla mezzanotte del giorno 3 giugno l'ora verrà anticipata di 60 minuti. Tutte le autorità e i Capi delle Aziende Pubbliche o private, nonché i pubblici esercenti provvederanno perché nell'istante indicato gli orologi siano portati a segnare l'una meridiana. Il predetto Decreto resterà in vigore fino a nuova disposizione. Scandiano 31 Maggio 1916. Il SINDACO Ing. Venerio Zuccoli"

Fonte: Archivio Storico del Comune di Scandiano b247
Quel 3 giugno del 1916 si stava dando vita a qualcosa che rimarrà nelle generazioni avvenire, un semplice spostamento delle lancette dell'orologio che permetterà di risparmiare energia e di inquinare di meno. Si attesta infatti che nella sua durata, in Italia si immette 300 mila tonnellate di anidride carbonica in meno nell'aria. Visto i risultati, credo si possa perdere tranquillamente un ora di sonno, perché ne vale assolutamente la pena.


MARCO MONTIPO'





venerdì 17 marzo 2017

17 MARZO 1861 NASCITA DEL REGNO D'ITALIA: IL 17 MARZO DIVENTI LA FESTA DEGLI ITALIANI

 

Il 17 marzo del 1861 si proclamava la nascita del Regno d'Italia e ad oggi, per assurdità, l'unica data che non viene riconosciuta come festa è proprio questa, il 17 marzo. Mi chiedo: come si può non festeggiare il giorno della propria nascita? 


Già nel 2011 io e tanti miei amici scandianesi scendemmo in piazza per sensibilizzare la comunità su questa data, perché credo che nulla può essere al di sopra del giorno nativo d'Italia.
Le giornate nazionali esempio il 4 novembre, il 25 aprile e il 2 giugno, sono sicuramente momenti fondamentali della nostra Patria ma sono parentesi della nostra storia.


Ognuno di noi, nella propria esistenza ha compleanni certamente significativi come ad esempio il diciottesimo, compleanno in cui si diventa maggiorenni e "liberi". Ma è solo il giorno della nascita che festeggerai tutta la vita e non quel diciottesimo compleanno.
Riscoprire quella data vuol dire riscoprirsi italiani, vuol dire avere un punto di sintesi. Il 17 marzo rappresenta tutti, repubblicani e monarchici, di destra e di sinistra, tutti, non fa distinzioni. Proprio in questo momento storico, con  il popolo lacerato dalle divisioni, dai rancori e dagli odi partoriti da una cattiva politica, credo che oggi più che mai c'è bisogno di unità, di italianità, parola quest'ultima ormai purtroppo e volutamente dimenticata.



Proprio sull'italianità e sul 17 marzo 1861, voglio chiudere elencando la mia famiglia, i miei avi. Voglio chiudere con loro che hanno scritto quei decenni di storia facendo l'Italia. A loro che sono tutti tutti figli di quel 17 marzo perché italiani.

Parto dal mio avo Montipò Angelo, nato ad Arceto nel 1842. Era un umile contadino che quando la Patria chiamò, si arruolò nei bersaglieri.  Angelo si guadagnò sul campo la medaglia nella 3° Guerra d'Indipendenza 1866 e per questo inserito tra i benemeriti reggiani del risorgimento.

Poi il mio Bis-nonno, Montipò Giuseppe, nato il 1881 a Chiozza. Era un giornaliero, anche lui un umile scandianese che durante la Grande Guerra, come milioni di fanti italiani combatté e vinse contro il nemico su quelle imponenti Alpi.
In quella guerra combatté per tre lunghi anni, dal 1916 al 1918 e per questo decorato con la croce di guerra e la medaglia commemorativa.

Il mio prozio, Montipò Aurelio, nato a Chiozza nel 1893, era un mugnaio e nel 1913 partiva per l'Africa. Si era appena conclusa la "Guerra di Libia 1911-1912" e Aurelio come tanti altri italiani veniva smistato a difesa delle roccaforti italiane.

Il mio prozio, Montipò Pietro, nato a chiozza nel 1920. Era un semplice bracciante che da bersagliere combatté in Africa durante la seconda guerra mondiale, nella "Campagna Africa Settentrionale". Venne premiato sul campo per lodevole comportamento in combattimento. Purtroppo morì nell'aprile del 1943 sotto il fuoco nemico dopo quasi tre anni di guerra.

Infine mio nonno, Montipò Giovanni, nato nel 1927 a Chiozza. Si arruolò nei partigiani nel 1945 e partecipò alla resistenza. Era un sappista del 1° Battaglione.




MARCO MONTIPO'




mercoledì 8 marzo 2017

QUANDO LE DONNE SALVARONO SCANDIANO DAGLI ASSALITORI





Quando pensiamo alle guerre medievali, pensiamo ai cavalieri, agli uomini forti e coraggiosi, che armati di spada e scudo vincevano il nemico. Ma non era sempre così, anzi, nella giovane Rocca scandianese fu il contrario, infatti furono le donne a combattere in difesa di Scandiano e furono loro che salvarono il paese dall'invasore.

Siamo in pieno medioevo e la cittadina di Scandiano era stata fondata da pochi decenni da Gilberto Fogliani.
In quel periodo, Scandiano era ancora un piccolo paesino ai piedi dei colli, con una Rocca circondata da un fosso pieno d'acqua e qualche casa per i vassalli. L'accesso al castello era nell'odierna torre dell'orologio.               
Il periodo foglianesco era intrinseco di guerre fratricide e i vari rami della famiglia si muovevano guerra per il possesso dei vari castelli e possedimenti.

Questa storia si compie durante il periodo della vendemmia e gli uomini erano tutti nei campi a lavorare. Francesco Fogliani, parente del nostro castellano (che in quel momento si trovava a Bologna), coglieva l’occasione per attaccare Scandiano. Non c’erano gli uomini nei dintorni del castello ma solo le donne, che accortesi dell’imminente attacco si asserragliarono dentro le mura della rocca sbarrando l'ingresso con dei travi. Ma queste coraggiose scandianesi non si limitarono a nascondersi tra le mura della Rocca ma reagirono con forza e dalle finestre delle torri lanciarono sugli assalitori sassi, carboni ardenti e acqua bollente. Gli uomini capitanati da Francesco Fogliani, non potevano che rinunciare e ritirarsi sconfitti, le donne scandianesi avevano vinto, avevano salvato la giovane Scandiano.

Sotto sera, al ritorno dai campi, gli uomini venivano informati dell’accaduto, così insieme alle coraggiose donne partirono alla ricerca degli assalitori per vendicarsi. Li trovarono non molto lontano, nei pressi di un bosco dove gli scandianesi ne fecero strage. Da allora a tutt'oggi, quel posto verrà denominato Bosco del Fracasso, a ricordo di quella sanguinosa vendetta.

venerdì 13 gennaio 2017

IL TREMENDO TERREMOTO DEL 1915 NELLA MARSICA E LA SOLIDARIETA' SCANDIANESE

Il 13 gennaio del 1915 un terremoto di magnitudo 7.0 colpiva l'Abruzzo e il Lazio, precisamente la zona chiamata la Marsica
La scossa fu tremenda e interi paesi vennero spazzati via in pochi secondi e con loro, i monumenti, le case e purtroppo tante vite umane. Infatti la conta dei morti fu drammatica: oltre 30 mila persone perirono sotto quelle macerie. 


Foto di Sora dopo il terremoto del 13 gennaio 1915

Foto di Sora dopo il terremoto del 13 gennaio 1915

Nel dramma i terremotati non furono lasciati soli e fin da subito, da tutta Italia partiva la corsa alla solidarietà. Appena appresa la tremenda notizia, a Reggio Emilia si costituirono comitati di raccolta fondi in modo capillare. 
Partecipavano i Comuni, le banche, le cooperative, liberi cittadini. Tutti volevano dare il proprio contributo. 
Con i soldi raccolti decisero di costruire un asilo infantile nel Lazio, precisamente a Sora. Oltre alla costruzione dell'edificio, il progetto comprendeva anche l'acquisto dei banchi, delle cattedre e di cento grembiulini per i bambini. 
Il costo totale dell'intero progetto era di 25.889 Lire ma la solidarietà reggiana andava oltre, infatti i soldi raccolti ammontavano a 26.756 Lire. 

La somma residua di 867 Lire veniva devoluta alla Croce Rossa Italiana e alla Croce Verde di Reggio Emilia.

Il Comune di Scandiano, tra quelli della provincia reggiana, sarà uno di quelli che devolverà più soldi: la solidarietà scandianese superava le 1000 Lire. 
La comunità di Sora decise di intitolare l’asilo alla città emiliana che con tanta solidarietà ne aveva permesso la costruzione. 
Con la seconda guerra mondiale l’asilo crollò sotto le bombe americane e fu ricostruito nuovamente verso la fine degli anni Cinquanta. Nonostante la struttura non sia più quella del 1915, il ricordo di tanta solidarietà non è stato mai dimenticato e anche il nuovo asilo porta ancora oggi il nome della città emiliana: Scuola dell’infanzia REGGIO EMILIA.

Disegno dell'asilo costruito con i soldi dei reggiani

Pianta dell'asilo infantile