martedì 24 marzo 2020

RIVOLTA DEI BOXER IN CINA: TRA I SOLDATI ITALIANI INVIATI PER SEDARE LA RIVOLTA C'ERANO ANCHE DEGLI SCANDIANESI


Siamo in Cina, a cavallo tra 1800 e 1900. In quel periodo, il paese asiatico era in una fase storica di profonda decadenza ed era governato dall’Imperatrice Cixi

Al centro l'Imperatrice Cixi
Mentre il progresso industriale elevava le grandi Potenze Europee, la Cina feudale era rimasta immutata nel tempo e la chiusura totale al libero mercato la emarginava dal resto del mondo. Giusto il giovane imperatore Guangxu, poi arrestato da Cixi, provava a realizzare quelle riforme che avrebbero garantito un processo di progresso alla Cina, mi riferisco alla riforma dei cento giorni. In quel periodo storico, la Cina esportava i suoi prodotti ma importava poco o nulla dall’esterno e questo la metteva in cattiva luce con l’Occidente, in primis con l’Impero Britannico, che dalla Cina importava tra le tante cose grandi quantità di tè e seta. Questo commercio a senso unico indebitava fortemente l’Inghilterra che vedeva in termini economici solo uscite e niente entrate. L’Inghilterra però, avendo a disposizione enormi quantità di Oppio, con le sue Compagnie delle Indie Orientali riforniva clandestinamente il mercato cinese. L’Oppio portava con sé parametri negativi in Cina come la tossicodipendenza, la corruzione e non ultimo, l’impoverimento economico. l’Imperatore Daoguang, già nel 1839 si ribellava e dichiarava guerra all’Impero Britannico. La Cina in quel conflitto provava sulla propria pelle la superiorità militare Occidentale e il 29 agosto 1842, con il famoso ”Trattato di Nanchino” l’esercito cinese si arrendeva agli Inglesi. Si concludeva così la Prima guerra dell’Oppio e nel dettaglio, la diplomazia della Corona britannica otteneva diversi vantaggi commerciali: “per coprire le spese del conflitto, l’Isola di Honk Kong fu ceduta alla Gran Bretagna in possesso perpetuo e cinque porti, quelli di Canton, Amoy, Foochow, Ningpo e Shanghai, vennero aperti al commercio internazionale.”1 Questo era solo l’inizio e da lì in poi, ulteriori guerre e cessioni territoriali, facevano sprofondare il colosso asiatico in una profonda crisi sociale mentre invece, la politica europea metteva radici sempre più profonde in terra cinese. La Cina di fatto, in quel periodo storico, aveva perso la sua sovranità. C’è da aggiungere, per essere il più possibile precisi , che altre potenze, oltre a quelle europee, stavano aggredendo la Cina per la propria espansione territoriale e commerciale, erano: Giappone, Stati Uniti e Russia. I primi, proprio da queste guerre, mettevano le basi per diventare una grande potenza marittima asiatica come poi di fattosi vedrà anche nella seconda guerra mondiale.

L’influenza occidentale si ripercuoteva inevitabilmente anche nella politica interna creando non pochi malumori, specialmente tra i ceti sociali più bassi. Questi ultimi, verso la fine del 1800, diedero vita ad un nazionalismo radicale, ostile sia al governo imperiale, perché ritenuto incapace di tutelare i costumi tradizionali che agli “invasori” europei che, secondo loro, “occidentalizzavano” il popolo cinese. 

Boxer in marcia
Tra gli storici ci sono diverse idee sulle motivazioni che spinsero questi nazionalisti alla ribellione ma una di queste accomuna tutte le correnti di pensiero: l’antieuropeismo. Ci scrive Victor Purcell, importante storico britannico scomparso nel 1965: “Una caratteristica almeno della rivolta dei Boxer è al di sopra di ogni discussione, e cioè che essa fu antistraniera e, in particolare, antieuropea.”2 Questi “nazionalisti radicali” erano devoti alla tradizione millenaria cinese ed esperti nelle arti marziali, diffidavano di cannoni e fucili e preferivano combattere con le armi “antiche” come archi e spade. Questa loro scelta era anche la condanna ad una sconfitta certa infatti, poche migliaia di soldati occidentali, battevano centinaia di migliaia di guerriglieri cinesi reclutati tra le fila dei Boxer. I primi bersagli di questi nazionalisti xenofobi, furono le aziende straniere con i loro dipendenti e anche i cristiani, che vennero letteralmente massacrati. La religione infatti, in questa rivolta, divenne una delle motivazioni principali.

Dalla famosa Prima Guerra dell’Oppio, ci furono diverse rivolte, spesso tra le varie popolazioni cinesi e quasi sempre, le diplomazie occidentali non interferivano ma si limitavano in alcuni casi, ad aiutare supportando una fazione al posto di un'altra, chiaramente sulla base della convenienza politica. A cavallo del ‘900 però, le cose cambiavano radicalmente e questi nazionalisti attaccavano il cuore del potere straniero, il quartiere delle legazioni a Pechino, in cui risiedevano i diplomatici e i funzionari europei. Già da alcuni mesi, diverse aggressioni e sommosse, segnavano la Cina ma sarà nel giugno del 1900, con l’attacco di Pechino, che si darà inizio alla Rivolta dei Boxer.
Il Governo cinese non riusciva più a garantire l’ordine e la sicurezza ai diplomatici, così, di comune accordo con le potenze europee, dava parere favorevole all’invio di un contingente militare internazionale. 

Soldati rappresentanti delle nazioni coinvolte. Penultimo a dx è
un bersagliere italiano.
Il 1° Giugno 1900 arrivava il primo contingente di circa 400 marinai, erano: inglesi, francesi, tedeschi, austriaci, russi, giapponesi, americani e anche italiani. Erano solo i primi, infatti durante la rivolta, che si concludeva nel settembre del 1901, i militari delle otto nazioni arrivavano a circa 50 mila uomini.
Le cose in quel giugno precipitarono rapidamente, il Governo cinese guidato da Cixi, dopo avere dato parere positivo ad una spedizione internazionale per garantire l’ordine, in un secondo tempo sposava la causa dei Boxer e chiedeva ai diplomatici di andarsene dal paese entro 24 ore: era il 19 giugno 1900. La mattina del 20 giugno, il Barone e diplomatico tedesco Clemens von Ketteler, veniva assassinato in un agguato e una volta ucciso, gli venivano tolti gli occhi e la pelle. Un affronto inaccettabile per la Germania che risponderà duramente reagendo in modo altrettanto spietato e violento. 

Kaiser Guglielmo II nel 1902
L’intento era punire e vendicare l’assassinio di Ketteler e lo si capisce benissimo nel discorso che il Kaiser Guglielmo II pronunciò al contingente tedesco che stava partendo alla volta della Cina. Questo discorso passerà alla storia come il discorso degli Unni, ne riporto una parte: “Quando vi troverete faccia a faccia con il nemico, sappiate batterlo. Nessuna grazia! Nessun prigioniero! Tenete in pugno chi vi capita sotto le mani. Mille anni fa, gli Unni di Re Attila si sono fatti un nome che con potenza è entrato nella storia e nella leggenda. Allo stesso modo voi dovete imporre in Cina, per mille anni, il nome tedesco, in modo che mai più in avvenire un cinese osi guardare di traverso un tedesco.”3 
Non solo, il Governo cinese, il 21 giugno dichiarava guerra alle potenze europee e la questione cinese degenerava in modo irrecuperabile. In quel Giugno, le città di Pechino e TienTsin, erano sotto assedio dell’esercito regolare cinese e delle truppe irregolari dei boxer. A difendere diplomatici, civili e cinesi cristiani, erano poche centinaia di militari, tra cui i marinai italiani che emergevano per valore e coraggio. Si legge di quelle settimane: “Duranti i mesi d’assedio, che ebbero sopportare gli stranieri in queste due città, i marinai italiani compirono indimenticabili atti di valore.”4 Al quartiere delle delegazioni europee, i marinai italiani, insieme al resto del contingente internazionale, nonostante l’inferiorità numerica schiacciante, riuscivano a frenare l’avanzata dei boxer e si distinsero per valore e coraggio. Scrivevano di quei giorni “…Il nostro Ministro…Salvago Raggi… chiamò infatti a Pechino un distaccamento di Marina comandato daltenente di vascello Paolini ed a Tien Tsin un secondo distaccamento col sottotenente Ermanno Carlotto…Durante i mesi dell’assedio che gli stranieri ebbero a sopportare in queste due città, i marinai italiani compirono indimenticabili atti di valore. Il Tenente Paolini, benché con soli 28 uomini, fece brillanti e parecchie sortite, catturando una batteria di boxer che tempestava la delegazione…Il sottotenente Olivieri riuscì a liberare le sue seriamente minacciate nel convento di Paoting, difendendosi eroicamente dagli assalti nemici, i quali facendo brillare una mina lo costrinsero a rimanere coi suoi marinai per circa due mesi e mezzo fra le più dure privazioni…”5 In quegli scontri morivano centinaia di boxer e anche dei militari italiani, una decina circa. I militari italiani, per il grande valore e coraggio dimostrato, si guadagnarono importanti onoreficenze, come Federico Tommaso Paolini e Angelo Oliviero che si vedevano conferire la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Il primo con questa motivazione: “Per avvedutezza, coraggio e sangue freddo dimostrato durante la difesa della legazione a Pekino rimanendo ferito il 1° luglio 1900 mentre alla testa dei suoi marinai si slanciava all’assalto di una barricata sotto la cui protezione un pezzo nemico cagionava gravi danni”6 mentre il secondo invece per questa: “Per avvedutezza, coraggio e sangue freddo dimostrato durante la difesa delle missioni cristiane al Pe Tang (Pekino). Alla testa dei suoi Marinai costrinse a sloggiare due cannoni nemici che tiravano contro le improvvisate difese, salvando la parte nord del a Tang. (24 giugno 1900). Rimase inoltre sepolto per circa 40 minuti sotto le macerie , prodotte dallo scoppio di una mina che cagionò la morte di cinque marinai italiani e più di cento cristiani ricoverati nella missione. (12 agosto 1900)”7 Nel luglio del 1900, le otto nazioni mandavano un grosso contingente militare per sedare la rivolta, ormai divenuta un fiume in piena. 

La Tribuna Illustrata che da notizia della
partenza 
I soldati italiani partivano il 19 luglio 1900 dal porto di Napoli. Il Corpo di spedizione italiano era comandato dal Colonnello Vincenzo Garioni e composto da circa 2000 uomini: 83 ufficiali e 1882 soldati. I militari italiani venivano caricati su 3 piroscafi erano: Singapore, Minghetti e Giava.8 Quel giorno il porto di Napoli era gremito di uomini e donne, le fonti ci dicono 200 000 persone, che arrivavano per portare un saluto ai militari italiani. Presenziava anche il Re Umberto9 che ai soldati italiani pronunciava questo discorso: “Ufficiali, sotto Ufficiali, Caporali, Soldati! A voi, pronti a salpare, porto il mio saluto e col mio quello della Patria bene augurante della fortuna delle vostre armi. Non a conquista, ma a sola difesa del sacro diritto delle genti e dell’umanità calpestati voi vi recate in lontana regione, dove la nostra bandiera è stata oltreggiata. Alla vostra missione avrete come già altre volte compagni, soldati delle più potenti Nazioni del mondo. Siate con essi buoni camerati e sappiate tener alto il prestigio dell’esercito italiano e l’onore del nostro paese. Andate quindi fiduciosi: io vi accompagno col cuore. Iddio benedica la vostra impresa. UMBERTO.”10 Tra quei soldati c’era uno scandianese, Bertolini Francesco.

FRANCESCO BERTOLINI IN CINA 
Nato il 18 maggio 1879 e figlio di Sebastiano, Francesco veniva inquadrato nel 4° Reggimento Bersaglieri. Bertolini insieme al contingente italiano, arrivava il 12 agosto a Singapore, poi il 20 ad Hong Kong e infine il 29 agostoa Taku. Ad attenderli nella baia di Taku c’erano 4 navi da guerra italiane, erano: Elba, Fieramosca, Calabria e Vettor Pisani.11 La guerra per sottomettere i rivoltosi fu tremenda e sanguinosa e in entrambi i casi si registravano esecuzioni sommarie e crimini ai danni di civili. Quest’ultimo caso specialmente tra le fila dei boxer, che inveivano contro i civili di fede cristiana. Del contingente partito il 19 luglio 1900, Bertolini fu tra gli ultimi a rientrare in Italia, infatti sbarcava al porto di Napoli il 26 dicembre 1901, dopo oltre un anno di guerra e una ferita che aveva conseguito durante il conflitto. Il 24 gennaio 1901 infatti, durante la Campagna di Cina, il bersagliere scandianese si feriva al ginocchio sinistro mentre faceva la guardia al Palazzo del Governo. Francesco Bertolini, inoltre, anni dopo la Campagna di Cina, prendeva parte alla Grande Guerra, dove aggregato al 209° Reggimento Fanteria, raggiungeva il fronte il 12 aprile 1917. Dopo la Grande Guerra, Bertolini si dedicava alla vendita di materiali edili e proprio a Ca de Caroli dava vita alla sua impresa famigliare. Negli anni 20 faceva costruire la sua casa, dove per tanti anni,risiederà il tabacchino del paese. Ancora oggi, sulla facciata dell’edificio, si legge “BERTOLINI FRACENSCO FECE COSTRUIRE NEL 1925”.

Ma ora torniamo alla rivolta dei Boxer.

Come ho già accennato, questi nazionalisti cinesi erano spietati soprattutto con i civili di fede cristiana. Alcuni di quest’ultimi verranno poi beatificati e fatti Santi da Papa Giovanni Paolo II nel 2000, scatenando un’accesa polemica con il Governo Cinese. Di quei “martiri” come li definì la chiesa vaticana, riporto la storia di una giovane ragazzina: Anna Wang. La sua tragica storia la porto ad esempio per tutti gli altri. Nata nel 1886 fu battezzata in tenera età. Quando scoppiò la “rivolta dei boxer” i villaggi vennero presi d’assalto, i rivoltosi bruciavano le chiese e mettevano i fedeli davanti ad una scelta: o convertirsi o morire. Anna nonostante fosse ancora una ragazzina di appena 14 anni scelse la seconda. Davanti alla sua fossa, scavata poco prima, le si intimò più volte di rinnegare Dio, anche con la violenza ma nulla, la sua fede era inattaccabile. Ci racconta di quel fatto lo storico e teologo Etienne Ducarnot: “Assassinarono donne e bambini come la piccola Anna Wang, quattordicenne, che i suoi torturatori vollero forzare all’apostasia. Al suo rifiuto, le fu tranciata la spalla con un colpo di sciabola. Anna tenne botta e rifiutò di nuovo; al secondo colpo di sciabola, cadde in ginocchio dicendo <la porta del cielo è aperta…Gesù…Gesù…Gesù!> Il suo volto rifletteva una una gioia celeste. Al terzo colpo di sciabola la sua testa rotolò al suolo.”12 Anna moriva così, a soli 14 anni e per la sua unica “colpa”: credere in Dio. La conta dei cinesi cristiani assassinati come Anna, ammontava ad oltre 32000 persone, uccise in modo atroce, proprio come Anna. La fine delle ostilità si raggiungeva il 7 settembre 1901, quando l’Imperatrice Cixi firmava la resa alle 8 potenze. Il trattato era pesantissimo per la Cina, umiliante aggiungerei. Al principe Ch’un per esempio, fu imposto di andare a chiedere scusa personalmente in Germania: “si sarebbe recato a Berlino per esprimere all’Imperatore di Germania il rincrescimento dell’Imperatore della Cina e del Gran consiglio per l’assassinio del barone Von Ketteler; nel luogo ove questi era stato ucciso sarebbe stato eretto un monumento.”13 Oltre l’umiliazione per la Cina veniva anche il lato economico, che era devastante. Doveva pagare un indennizzo di 450 milioni di teal, cioè 67 milioni di sterline, che era una somma ritenuta anche dagli Stati Uniti abnorme. Inoltre perdeva il controllo delle dogane marittime e concedeva nuove concessioni, come all’Italia, alla quale cedeva la città di Tien Tsin. Questa concessione rimaneva sotto giurisdizione italiana fino al 1943, quando dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i soldati giapponesi occupavano la città. Per questa cessione, il documento sottoscritto da Cina e Italia cita l’Art 3 “Tutto il terreno governativo della detta Concessione sarà dato dal Governo cinese gratis al Governo italiano, che ne diverrà regolare proprietario senza alcun pagamento.”14
Dopo la resa dell’esercito cinese e dei boxer, come ho scritto, un primo scaglione di militari italiani faceva ritorno in Patria e all’inizio del 1902, di quei soldati partiti nel luglio 1900, quasi tutti erano ritornati, compreso Bertolini Francesco. Anche se la guerra era finita, fino al 1905 alcuni soldati italiani rimanevano in Cina per garantire l’ordine e tra questi c’era uno scandianese: Rossi Aurelio

AURELIO ROSSI IN CINA
Nativo di Ventoso e classe 1881, Aurelio veniva inquadrato in Fanteria e il 5 settembre 1903 partiva dal porto di Napoli alla volta di TienTsin. Nel 1905 anche questa missione si concludeva e tutto senza scontri, infatti, dopo la rivolta dei boxer, l’ordine e la pace regnavano nel territorio. In quel 1905, si concludeva ufficialmente la “Campagna dell’Estremo Oriente”. Anche Rossi, come Bertolini, una volta scoppiata la Grande Guerra partiva per il fronte e già dall’ottobre del 1915, si trovava nelle trincee. Dopo appena un mese, veniva ferito mentre partecipava alle battaglie sul Monte Merzly, dove, insieme agli altri soldati italiani, riusciva ad espugnare trinceramenti nemici. Scriveva Cadorna del giorno in cui veniva ferito Rossi “…Nella zona del Monte Nero le nostre truppe rinnovarono ieri gli attacchi su ripidi fianchi del Merzly e del Vodil. Dopo alterne vicende di lotta accanita, forti trinceramenti nemici rimasero in nostro possesso…”15 Per questa azione veniva autorizzato a fregiarsi di un distintivo d’onore per la ferita riportata. Dopo la convalescenza, Aurelio tornava al fronte e combatteva fino alla fine del conflitto. Nel 1918, aggregato al 138° Fanteria, si trovava in Albania e lì, dopo la famosa data del 4 novembre 1918, che rappresentava la vittoria e la fine delle ostilità, Aurelio invece trovava la morte. L’11 novembre infatti, dopo giorni di febbre alta, spirava in un letto d’ospedale; purtroppo per lui, la vittoria e la fine del conflitto non gli avevano salvato la vita.

Ma ora torniamo a TienTsin.

La storia di quella concessione italiana è sempre rimasta nell’angolo in Patria, infatti fin da quel lontano 1901, sia alla politica che al commercio, in Italia non interessava di quella piccola concessione così lontana. Anche la storiografia nazionale ha affrontato pochissimo quella realtà italo-cinese. Oggi il quartiere definito Italian Style Town oppure Italian Style Street, che rappresenta la vecchia concessione italiana, è una zona molto frequentata da turisti, sia cinesi che stranieri. E’ una zona della città molto suggestiva in cui sono ancora presenti le ville e i palazzi italiani, oltre che piazze e monumenti. Si può vedere per esempio, Piazza Marco Polo, originariamente Piazza Regina Elena, realizzata in Onore della vittoria italiana nella Grande Guerra. Poi la Caserma dedicata ad Ermanno Carlotto, che ospitava durante la concessione il Reggimento San Marco, oggi centro della Polizia armata del popolo. Oppure il Palazzo della cultura, eretto durante il fascismo e che oggi rappresenta un importante centro sportivo.16 Anche in questo caso, il palazzo è stato inserito tra gli edifici da tutelare, fasci littorio compresi, questo per cercare di preservare l’edificio e la sua storia. Il Governo cinese infatti, rivolge a questo quartiere e i suoi edifici, politiche di valorizzazione e conservazione per mantenere vive le radici italiane. Queste politiche vengono ripagate da un flusso turistico notevole composto da cinesi e stranieri. Consultando anche il noto sito web dedicato al turismo, Tripadvisor, si può notare come il quartiere italiano brulichi di vita e di come gli edifici italiani siano i veri protagonisti. Dopo oltre un secolo da quel lontano 1901, anno in cui cominciava la concessione italiana di TienTsin, credo che anche quei due scandianesi che hanno partecipato e messo le basi a quel mezzo secolo di storia italo/cinese, finalmente abbiano il loro giusto ricordo, perché quella storia l’hanno scritta da protagonisti. Questo mio articolo è un omaggio a loro, ad eterno ricordo.

NOTE:

1 V. PURCELL, la rivolta dei boxer, RIZZOLI, 1972, p.94
2  Ibidem, Op, Cit, p. 84
3 LIU HUNG YUAN CINA: Storia Società e tradizioni, arte e cultura, religione e filosofia, Edizioni Pendagron, Bologna, 2000, p. 19
4 LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN Istituto coloniale fascista,  Roma, 1937, p.6
5  Ibidem, op, cit., p.7
6 Motivazione presa dall’Istituto del Nastro Azzurro
7 Motivazione presa dall’Istituto del Nastro Azzurro
8 LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN, op, cit., p.8
9 Dopo pochi giorni da quel 19 luglio, Re Umberto I veniva assassinato per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Era il 29 luglio e il luogo del regicidio era Monza. Questa triste storia nazionale non poteva che avere reazioni a Reggio Emilia e chiaramente anche a Scandiano, infatti la cittadina dei Boiardo, fu uno dei primi comuni a lutto della provincia e il 31 luglio il municipio pubblicava un manifesto di indignazione per l’orrendo misfatto, inviando alla Regina un telegramma di sincero compianto. Dalle finestre del municipio, degli edifici pubblici e privati, era esposta la bandiera in lutto, la campana maggiore del paese ha suonato lentamente per molto tempo annunciando la grave sciagura. I negozi e gli istituti rimanevano chiusi con la scritta lutto nazionale. Solo dopo pochi giorni, il 5 agosto, a Scandiano si annunciava la costituzione di un comitato per raccogliere fondi in vista della cerimonia funebre in onore del Re. Anche il comitato interparrocchiale cattolico scandianese interveniva pubblicando un manifesto con scritto “Il sangue fetido della rivoluzione scorre ancora nelle vene delle decrepita Europa, ed ogni giorno più ne addolorano i tristissimi effetti. La società civile, spostata dalle sue vere basi, gettata in braccio ad una libertà falsa, sfrenata e mercenaria, ha inaugurato l’era nuova spingendo Luigi XVI sotto la mannaia, e chiude un secolo, detto luminoso, aggredendo oscenamente in Umberto I° il principio d’autorità con un delitto che ripugna ad ogni senso umano. Domani comparirà davanti alle Assise di Milano l’esecrato Regicida; ma quel disgraziato qual cumolo di responsabilità rappresenta! Gli scristianizzatori del popolo, i nemici della chiesa, e quindi d’ogni principio d’ordine vero, debbono con lui rispondere delle infine ribellioni al trono ed all’altare. I cattolici scandianesi, fra la mestizia del rito espiatorio che si compirà domani nella chiesa di Dio, preghino perché colui che fece sanabili le Nazioni, si muova a pietà del suo popolo e lo salvi; perché gli effetti spaventosi di un’empia filosofia ne insegnino una buona volta, che solo può sperarsi salvezza dalla fede avita. Se il mostruoso avvenimento del 29 luglio segnerà il principio di un profondo risveglio religioso, oh quanto il RE sarà lieto d’aver dato il sangue per la patria, che tanto amava! A noi cattolici soltanto è dato di fecondare colle preghiere e colla carita del Cristo i germi della restaurazione sociale; chi vuol farlo senza Dio, tradisce la civiltà”.
Per la ricostruzione delle cronache di quei giorni, ho attinto le notizie dal quotidiano L’Italia Centrale del 2 e 7 agosto 1900 e dal settimanale l’Azione Cattolica del 2 agosto 1900
10 L’ITALIA CENTRALE, 1900 luglio 20
11 LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN, op, cit., p. 10
12 E. DUCORNET, La Chiesa e la Cina, Jaca Book Spa ,Milano, 2008, p. 39
13 V. PURCELL, la rivolta dei boxer,  op, cit., p.328
14 LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN, Op, Cit., p.15
15 Bollettino di Guerra del 29 novembre 1915
16 Per chi vuole guardare la TienTsin durante la concessione italiana, in cui si vedono anche gli edifici menzionati, suggerisco di visionare il Cinegiornale dell’Istituto Luce, nella puntata Visita alla Città di Tien-Tsin al sito: https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000015900/2/visita-alla-citta-tien-tsin.html?startPage=0&jsonVal={%22jsonVal%22:{%22query%22:[%22tientsin%22],%22fieldDate%22:%22dataNormal%22,%22_perPage%22:20}}

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