martedì 22 dicembre 2020

IL CIMITERO OTTOCENTESCO DI VENTOSO DI SCANDIANO (RE)

Documento del primo cimitero di Scandiano.
Costruito nel 1808 d.C presso la Chiesa dei Servi
Il cimitero di Ventoso rappresenta uno dei pochi campisanti ottocenteschi ancora esistente sul nostro territorio. La storia dei nostri cimiteri si lega con l'avvento di Napoleone, quando si decise che le sepolture dei morti dovevano avvenire in appositi luoghi fuori dalle mura cittadine. Prima di Napoleone, infatti, i cadaveri si seppellivano dentro e fuori le chiese, all'interno dei paesi. Il primo cimitero di Scandiano fu costruito nel 1808 presso la Chiesa dei Servi (oggi non più esistente). Era un cimitero piccolo che ben presto non riuscì a contenere i defunti. Per questo motivo verso la metà dell' 800 venne realizzato un grande cimitero fuori  Porta Modena, sulla strada che portava a Sassuolo. Rimase in funzione fino al 1920, anno in cui entrò in funzione il cimitero odierno. Nel 1933 il cimitero ottocentesco di Scandiano venne chiuso definitivamente e ci si adoperò per diseppellire i morti rimasti. Oggi in quel luogo sorgono edifici residenziali e commerciali.

Fotografia della Chiesa dei Servi prima della sua demolizione
avvenuta nel 1920.



Esterno del cimitero di Ventoso
Fotografia scattata da Paola Panciroli
Un cimitero ottocentesco ancora esistente nel territorio scandianese è certamente quello di Ventoso. Posto al fianco della chiesa, sulla strada che porta al Monte Vangelo, il camposanto cominciò a ospitare i resti mortali nel 1859 mentre l'ultima tumulazione avvenne verso la fine degli anni '70 del '900. La fine del cimitero ottocentesco si decretò con la decisione, negli anni '40, di costruire un nuovo cimitero tra Ventoso e Ca de Caroli. Decisione quest'ultima che si prestava alle esigenze del tempo. Con la realizzazione del nuovo cimitero quello ottocentesco andò in disuso e piano piano si spense nel silenzio generale. Dopo l'ultima tumulazione, avvenuta come scritto verso la fine degli anni '70, il cimitero ormai abbandonato venne vandalizzato e l'incuria lo portò in condizioni di degrado molto gravi. 


Ingresso del cimitero di Ventoso
Fotografia scattata da Paola Panciroli
Fortunatamente nel 2016 l'Amministrazione di Scandiano decise di prendere a cuore la sorte del camposanto e insieme alla Curia e a privati cittadini, ristrutturò il cimitero portandolo alle condizioni attuali (come nelle fotografie). Seppur molte lapidi storiche, purtroppo, andarono perdute negli anni dei  vandalismi e dell'incuria, ancora oggi, in questo cimitero si possono notare diverse opere marmoree dell'800 e primo '900.  Un luogo davvero suggestivo e immerso nella natura che testimonia quasi due secoli di storia.

venerdì 27 novembre 2020

GRANDE GUERRA: TROVATE LE FOTO DEI BOMBARDIERI DEL RE STANZIATI TRA SASSUOLO E SCANDIANO

 

Resto del Carlino del 18 novembre 2020

Durante la Grande Guerra si istituirono i bombardieri del re, specialità del Regio Esercito che serviva per distruggere fortificazioni e reticolati nemici. La scuola dei bombardieri del re era a Susegana e il deposito a Nervesa. Dopo Caporetto, la scuola e il deposito si insediarono a Sassuolo e Scandiano e qui rimasero fino alla fine del conflitto. Una grande storia che finalmente, grazie anche a queste recenti scoperte, potrà essere raccontata e condivisa con gli appassionati di storia e non solo...

domenica 4 ottobre 2020

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DEL GENERALE RICCO' "I DIAVOLI NERI La vera storia della battaglia di Mogadiscio"

Sabato 3 ottobre, alle ore 16.30, presso il teatro De André di Casalgrande (RE), si è svolta la presentazione del libro del generale Paolo Riccò "I DIAVOLI NERI La vera storia della Battaglia di Mogadiscio". L'evento è stato organizzato dal Comune di Casalgrande e dall'Associazione ASMER (Associazione studi storici militari emilia romagna).

Locandina dell'evento 

Quando insieme al Comune di Casalgrande decidemmo di realizzare questo evento pensammo fin da subito il luogo. L'opzione era decidere su alcune sale di diversa capienza e la più grande tra queste era la sala del teatro. Il limite massimo causa covid19 pose il limite di 92 persone per poi arrivare a 140 comprese le persone dell'organizzazione. Contro ogni più rosea aspettativa, all'evento si sono presentate circa 130 persone (esclusi gli organizzatori) e più volte è stato necessario intervenire affinché non si formassero assembramenti, specialmente all'ingresso e durante il momento in cui Riccò si fermò per firmare le dediche ai presenti. Proprio per la vendita dei libri abbiamo visto che sono andati completamente venduti in  appena mezz'ora. Mi spiace tanto per chi non ha potuto averne una copia ma nel momento di ritirare i libri, dopo avere manifestato la mia preoccupazione che non bastassero, mi fu detto: "vedrà che farà fatica a venderle tutte quelle che ha".


fila all'ingresso del teatro 

Foto della fila all'ingresso e nella sala del teatro


Riccò è stato intervistato dal Dott. Giulio Verrecchia, Presidente dell'ASMER, il quale ha indirizzato, con le sue domande, il generale ad aprirsi e raccontarci cosa fu davvero la missione a cui presero parte lui e i suoi "Diavoli Neri". Una illustrazione a 360° che ha aiutato i presenti a comprendere cosa sia successo in Somalia in quel torrido luglio 1993 e soprattutto cosa hanno vissuto i nostri militari impegnati in quella missione umanitaria. Si è partiti dalla storia e la formazione del generale e il suo arrivo nei paracadutisti. Poi ha raccontato il suo legame con la XV e il duro addestramento che sottopose quei giovani ventenni. Successivamente ci ha parlato del loro arrivo in Somalia e il contesto in cui operarono gli italiani  illustrando ai presenti le varie fasi che portarono agli scontri del 2 luglio 1993. In questo racconto non si è lasciato sfuggire certamente le questioni più scottanti e cioè gli errori e le mancanze strategiche che contribuirono negativamente alla "Battaglia di Mogadiscio"



Un momento dell'intervista di Giulio Verrecchia al generale Paolo Riccò 

Successivamente è stata la volta di illustrare la storia di Giuseppe Rafaniello, casalgrandese d'adozione che in quel 1993, all'età di vent'anni, fu tra quei 120 ragazzi della XV° Diavoli Neri. Giuseppe è della classe 1972 e già nel giugno del 2020, inseme al sottoscritto, rilasciò un intervista al quotidiano Il Resto del Carlino. Il giornale, alla vigilia della ricorrenza della battaglia del pastificio, gli dedicò un intera pagina in cui il reduce raccontò i punti più significativi della sua esperienza. "Dovevamo garantire gli aiuti alla popolazione e di colpo ci trovammo in guerra"

Articolo del Resto del Carlino 30 giugno 2020


La chiacchierata con Giuseppe è stata molto toccante anche perché l'emozione del reduce nel trasmettere quell'esperienza è emersa chiaramente nonostante siano passati quasi 30 anni, 27 per la precisione, da quel luglio 1993. Certe cose, infatti, non si dimenticano più e come giustamente ha detto alla presentazione il generale Riccò "solo chi c'era può capire cosa abbiamo vissuto". Con Giuseppe abbiamo commentato alcune sue fotografie che lo ritraevano al momento del suo reclutamento nei paracadutisti, poi del suo arrivo in Somalia e chiaramente al check-point Pasta. Abbiamo visto Giuseppe insieme alla popolazione somala, durante i turni nei check-point e nelle poche occasioni di relax nella base italiana di Balad. Giuseppe, inoltre, fu uno di quei 5 paracadutisti della XV° che misero la firma per rimanere altri 3 mesi in Somalia e rientrò solamente nel dicembre del 1993 dopo 6 mesi di missione. In questa seconda fase il paracadutista casalgrandese ebbe diversi compiti come quello di garantire la sicurezza al contingente ONU tedesco che doveva costruire strade e all'ambasciata di Mogadiscio. 


La foto di Rafaniello in primo piano con alle spalle il contingente ONU
Alcuni momenti della chiacchierata con Giuseppe Rafaniello

Finito l'evento il vice-sindaco di Casalgrande Miselli Silvia, ha consegnato due importanti riconoscimenti a Giuseppe Rafaniello. Il primo è stata la lettera scritta e inviata dal Sindaco di Lioni (AV), luogo che ha dato i natali a Rafaniello. Scrive il primo cittadino Gioino Yuri: "Buonasera a tutti, Ci tenevo a porgere i miei saluti ai presenti e a complimentarmi per l'iniziativa. Giuseppe Rafaniello è un cittadino di Lioni ed è doveroso, a nome della Comunità che ho l'onore di rappresentare, esprimere il mio encomio per le vicende che oggi ricorderete. Ritengo che il valore della storia sia imprescindibile e che molto spesso è proprio guardando al passato che si possono trovare risposte. L'Italia è il paese della cultura, delle arti, ma anche della solidarietà. Celebrare e ricordare i nostri eroi è il nostro dovere di cittadini e di Italiani. Giuseppe Rafaniello, un giovane soldato inghiottito all'improvviso dalla brutalità e dall'insensatezza della guerra, che ha saputo reagire con forza, determinazione ed estremo coraggio. Sono e siamo davvero orgogliosi del nostro concittadino per l'importante riconoscimento che riceverà oggi e per il il servizio svolto nell'Esercito Italiano. Saluto con grande ammirazione Giuseppe e il Comandante Paolo Riccò. Lioni, 3 ottobre 2020."

Dopo avere letto la lettera del Sindaco di Lioni, il vice Sindaco di Casalgrande Maselli ha consegnato a Rafaniello una pergamena del Comune di Casalgrande con scritto:"L'Amministrazione Comunale ringrazia il concittadino Giuseppe Rafaniello per il valore e la rilevanza del suo contributo durante la guerra in Somalia del 1993. Ricorderemo sempre con gratitudine e stima il contributo offerto, con grande senso di sacrificio e abnegazione, dal nostro concittadino durante gli scontri di Mogadiscio. Casalgrande, 03.10.2020"


Momento in cui il vice sindaco consegna la pergamena al reduce Giuseppe Rafaniello

Lettera del Sindaco di Lioni (AV)

Pergamena del Comune di Casalgrande (RE)


Devo dire che è stato un onore per me avere potuto stare con quei "Diavoli" conoscerli e sentire le loro storie. E' stato soprattutto un onore conoscere il generale Paolo Riccò che si è dimostrato una persona di una cordialità e gentilezza unica nonostante abbia ampiamente dimostrato di essere un uomo, ancor prima di un soldato, senza peli sulla lingua. D'ora in poi, quando guarderò il mio libro e vedrò la dedica del generale e le firme dei suoi "Diavoli" mi ricorderò sempre di quella bellissima giornata trascorsa tra loro e di quella presentazione dal pubblico eccezionale perché la loro storia, quella dei DIAVOLI NERI, è stata davvero eccezionale.


Io e il generale Paolo Riccò

Giuseppe Rafaniello e il generale Paolo Riccò

Foto di rito con il Comandante della polizia municipale, Marco Cassinadri (Presidente del consiglio di Casalgrande), io, il generale Riccò e i suoi diavoli presenti all'avento.

La dedica di Riccò e la firma dei "Diavoli" presenti




Articolo del Resto del Carlino 6 ottobre 2020



MARCO MONTIPO'

ricercatore storico e scrittore.


IL MARINAIO EMILIANO GINO MONTIPO' TORNA AL VITTORIALE DEGLI ITALIANI

Gino Montipò fu un grande marinaio della Regia Marina, prese parte, infatti, allo sviluppo delle unità di guerra che divennero un mito nella storia militare marinaresca, ossia i MAS. Durante la Grande Guerra partecipò alle imprese più leggendarie tra cui la famosa "Beffa di Buccari" con Gabriele d'Annunzio e proprio quest'ultimo, visto il grande coraggio di Montipò, lo soprannominò "Il filibustiere del Carnaro".


Copertina del libro

Questo appellativo ha poi dato il titolo al libro biografico di Montipò "Gino Montipò Il filibustiere del Carnaro" recentemente uscito ed edito dalla Gaspari Editore. Link per acquistare il volume:  https://www.amazon.it/Montipo-%C2%ABfilibustiere-Carnaro%C2%BB-modenese-Buccari/dp/8875417482

Per tutta la vita, nonostante i grandi meriti che raccolse in diversi ambiti, Montipò venne sempre ricordato come uno dei "30 di Buccari" e proprio per questo la sua esistenza rimase legata per sempre al suo Comandante, il poeta Gabriele d'Annunzio. Negli anni del dopoguerra venne più volte ricevuto al Vittoriale degli Italiani e d'Annunzio gli fece diversi doni che Montipò custodì gelosamente.

Sabato 26 settembre 2020, alcuni di questi cimeli, sono stati donati al Vittoriale degli Italiani. Si tratta di pezzi unici, che vanno arricchire la già corposa offerta espositiva del museo. Nel dettaglio si tratta della medaglia d'oro coniata nel dicembre del 1918 per i 30 di Buccari e una bandiera tricolore donata da d'Annunzio ai suoi 30 arditi del mare durante l'epica impresa.

Per quanto riguarda la medaglia, fu coniata nel dicembre del 1918, il 16 dicembre per la precisione. L'iniziativa si svolse presso le Officine Isotta Fraschini a Milano e per l'occasione fu coniata la medaglia d'oro per i 30 arditi del mare. Erano 30 esemplari con inciso un disegno realizzato su indicazione di Gabriele d'Annunzio.


L'altro reperto donato è la bandiera tricolore che d'Annunzio donò ai 30 marinai durante l'epica impresa. Una bandiera in uno stato di conservazione eccezionale. Della bandiera ne troviamo traccia anche nel libro di Edmondo Turci "Gli Arditi del mare" a pagina 153 in cui, mentre racconta dell'impresa, scrive: "A punta Maestra, il Comandante d'Annunzio ci offre una bandierina tricolore ed il significativo dono ci stringe sempre più vicini alla sua anima , all'anima grande d'Italia"


Il Presidente Giordano Bruno Guerri mentre mostra la bandiera

Per queste significative donazioni dobbiamo dire grazie a Margherita Montipò, nipote del marinaio e all'Associazione ANMI di Modena che gelosamente hanno custodito questi cimeli.

Durante la cerimonia il Presidente Guerri mi chiese anche di illustrare velocemente il libro scritto su questo grande marinaio e per me è stata una grande opportunità e un riconoscimento davvero eccezionale. Non capita spesso di trovarsi al fianco di grandi scrittori come Guerri e per di più in un luogo meraviglioso come il Vittoriale degli Italiani. Un esperienza che porto gelosamente nel mio cuore proprio come gelosamente sono stati custoditi i reperti donati.


Mentre illustro la storia di Gino Montipò sul palco dell'anfiteatro

Articolo della Gazzetta di Modena del 29 settembre 2020

sabato 25 luglio 2020

25 luglio 1943: l'Ordine Grandi e l'inizio della fine del Fascismo. Il reggiano Renzo Chierici tra i protagonisti di tale avvenimento.

Foto del Gran Consiglio del Fascismo
Il 25 luglio 1943 è una data significativa, di fatto è l'inizio della fine del fascismo. In quella giornata il Regime affrontava i problemi mai risolti e soprattutto si consumava la rivincita di quei uomini che fin dal primo momento condannarono l'alleanza con la Germania nazista e le leggi razziali. A guidare quest'ultimi era certamente Italo Balbo, l'unico uomo che durante il Ventennio poteva guardare negli occhi Mussolini e confrontarsi senza sentirsi "inferiore". Balbo amava gli Stati Uniti, teneva una politica estera filo occidentale, ripugnava l'antisemitismo e l'alleanza con la Germania, non ultimo, era fortemente contrario alla Seconda Guerra Mondiale. C'è chi sostiene che per queste posizioni pagò addirittura con la vita sui cieli di Tobruk. Dopo la votazione dell'Ordine Grandi, quest'ultimo disse ai suoi fedelissimi "Oggi Balbo è qui con noi".

Il 25 luglio 1943 e l'Ordine Grandi è un fatto noto ma in pochi sanno che tra quei pochi "privilegiati" che vissero da protagonisti tale avvenimento c'era il reggiano Renzo Chierici. Figlio del noto pittore Gaetano Chierici, Renzo era un personaggio con un curriculum del tutto eccezionale, infatti, in pochi nella città del tricolore potevano vantarne uno uguale. Comandante ardito combatté nella Grande Guerra e alla guida del XXXV° Reparto d'assalto si guadagnò, in terra macedone, una medaglia d'argento al valor militare e un Encomio solenne. Partecipò all'Impresa di Fiume con Gabriele d'Annunzio comandando la prima compagnia del Battaglio Randaccio. Tornato da Fiume andò a Firenze e lì conobbe Balbo e i tanti agitatori e idealisti del tempo. Chierici seguì Balbo e lo accompagnò nella sua ascesa al potere divenendo il suo braccio destro. Prima avanguardista e poi federale di Ferrara, Chierici ricoprì tante cariche prestigiose come Prefetto di Pescara e di Pola poi successivamente capo della Milizia Forestale e dall'aprile 1943 Capo della Polizia. Con quest'ultima carica assistette a quella giornata che cambiò per sempre la storia d'Italia, mi riferisco al 25 luglio 1943. Come altri fautori di quell'avvenimento anche Chierici pagò un prezzo altissimo, infatti, come il più conosciuto Galeazzo Ciano, anche Chierici venne arrestato e considerato un traditore. Nel dicembre del 1943, nei carceri a Treviso in attesa di processo, veniva brutalmente assassinato.


Era un uomo coraggioso e lo dimostrò diverse volte: prima al fronte durante la prima guerra mondiale e successivamente a Fiume. Ma anche in tempo di pace e da civile perché quando promulgarono le leggi razziali Chierici era Prefetto di Pescara e, coerente con il pensiero di Balbo, non solo non condivise tale leggi ma si adoperò addirittura per infrangerle. Esiste un bellissimo libro che racconta di quelle coraggiose azioni e si chiama "Il caso Lichtner"
di Giuseppe Perri. In questo volume si narra la storia della famiglia Lichtner scampata miracolosamente all'olocausto grazie proprio alle azioni di Chierici e del Vescovo Giuseppe Venturi.

Da tempo sto facendo ricerche su Renzo Chierici e credo che la sua figura meriterebbe un approfondimento. Non solo per l'importante cognome che porta, che già di per se è un valore aggiunto per Reggio Emilia, ma anche e soprattutto per quanto fatto in vita. Un curriculum del tutto eccezionale che lo portò a ricoprire una delle cariche istituzionali più importanti d'Italia (Capo della Polizia).
Chissà che questo 25 luglio non sproni tale approfondimento nella sua città natale...

martedì 24 marzo 2020

RIVOLTA DEI BOXER IN CINA: TRA I SOLDATI ITALIANI INVIATI PER SEDARE LA RIVOLTA C'ERANO ANCHE DEGLI SCANDIANESI


Siamo in Cina, a cavallo tra 1800 e 1900. In quel periodo, il paese asiatico era in una fase storica di profonda decadenza ed era governato dall’Imperatrice Cixi

Al centro l'Imperatrice Cixi
Mentre il progresso industriale elevava le grandi Potenze Europee, la Cina feudale era rimasta immutata nel tempo e la chiusura totale al libero mercato la emarginava dal resto del mondo. Giusto il giovane imperatore Guangxu, poi arrestato da Cixi, provava a realizzare quelle riforme che avrebbero garantito un processo di progresso alla Cina, mi riferisco alla riforma dei cento giorni. In quel periodo storico, la Cina esportava i suoi prodotti ma importava poco o nulla dall’esterno e questo la metteva in cattiva luce con l’Occidente, in primis con l’Impero Britannico, che dalla Cina importava tra le tante cose grandi quantità di tè e seta. Questo commercio a senso unico indebitava fortemente l’Inghilterra che vedeva in termini economici solo uscite e niente entrate. L’Inghilterra però, avendo a disposizione enormi quantità di Oppio, con le sue Compagnie delle Indie Orientali riforniva clandestinamente il mercato cinese. L’Oppio portava con sé parametri negativi in Cina come la tossicodipendenza, la corruzione e non ultimo, l’impoverimento economico. l’Imperatore Daoguang, già nel 1839 si ribellava e dichiarava guerra all’Impero Britannico. La Cina in quel conflitto provava sulla propria pelle la superiorità militare Occidentale e il 29 agosto 1842, con il famoso ”Trattato di Nanchino” l’esercito cinese si arrendeva agli Inglesi. Si concludeva così la Prima guerra dell’Oppio e nel dettaglio, la diplomazia della Corona britannica otteneva diversi vantaggi commerciali: “per coprire le spese del conflitto, l’Isola di Honk Kong fu ceduta alla Gran Bretagna in possesso perpetuo e cinque porti, quelli di Canton, Amoy, Foochow, Ningpo e Shanghai, vennero aperti al commercio internazionale.”1 Questo era solo l’inizio e da lì in poi, ulteriori guerre e cessioni territoriali, facevano sprofondare il colosso asiatico in una profonda crisi sociale mentre invece, la politica europea metteva radici sempre più profonde in terra cinese. La Cina di fatto, in quel periodo storico, aveva perso la sua sovranità. C’è da aggiungere, per essere il più possibile precisi , che altre potenze, oltre a quelle europee, stavano aggredendo la Cina per la propria espansione territoriale e commerciale, erano: Giappone, Stati Uniti e Russia. I primi, proprio da queste guerre, mettevano le basi per diventare una grande potenza marittima asiatica come poi di fattosi vedrà anche nella seconda guerra mondiale.

L’influenza occidentale si ripercuoteva inevitabilmente anche nella politica interna creando non pochi malumori, specialmente tra i ceti sociali più bassi. Questi ultimi, verso la fine del 1800, diedero vita ad un nazionalismo radicale, ostile sia al governo imperiale, perché ritenuto incapace di tutelare i costumi tradizionali che agli “invasori” europei che, secondo loro, “occidentalizzavano” il popolo cinese. 

Boxer in marcia
Tra gli storici ci sono diverse idee sulle motivazioni che spinsero questi nazionalisti alla ribellione ma una di queste accomuna tutte le correnti di pensiero: l’antieuropeismo. Ci scrive Victor Purcell, importante storico britannico scomparso nel 1965: “Una caratteristica almeno della rivolta dei Boxer è al di sopra di ogni discussione, e cioè che essa fu antistraniera e, in particolare, antieuropea.”2 Questi “nazionalisti radicali” erano devoti alla tradizione millenaria cinese ed esperti nelle arti marziali, diffidavano di cannoni e fucili e preferivano combattere con le armi “antiche” come archi e spade. Questa loro scelta era anche la condanna ad una sconfitta certa infatti, poche migliaia di soldati occidentali, battevano centinaia di migliaia di guerriglieri cinesi reclutati tra le fila dei Boxer. I primi bersagli di questi nazionalisti xenofobi, furono le aziende straniere con i loro dipendenti e anche i cristiani, che vennero letteralmente massacrati. La religione infatti, in questa rivolta, divenne una delle motivazioni principali.

Dalla famosa Prima Guerra dell’Oppio, ci furono diverse rivolte, spesso tra le varie popolazioni cinesi e quasi sempre, le diplomazie occidentali non interferivano ma si limitavano in alcuni casi, ad aiutare supportando una fazione al posto di un'altra, chiaramente sulla base della convenienza politica. A cavallo del ‘900 però, le cose cambiavano radicalmente e questi nazionalisti attaccavano il cuore del potere straniero, il quartiere delle legazioni a Pechino, in cui risiedevano i diplomatici e i funzionari europei. Già da alcuni mesi, diverse aggressioni e sommosse, segnavano la Cina ma sarà nel giugno del 1900, con l’attacco di Pechino, che si darà inizio alla Rivolta dei Boxer.
Il Governo cinese non riusciva più a garantire l’ordine e la sicurezza ai diplomatici, così, di comune accordo con le potenze europee, dava parere favorevole all’invio di un contingente militare internazionale. 

Soldati rappresentanti delle nazioni coinvolte. Penultimo a dx è
un bersagliere italiano.
Il 1° Giugno 1900 arrivava il primo contingente di circa 400 marinai, erano: inglesi, francesi, tedeschi, austriaci, russi, giapponesi, americani e anche italiani. Erano solo i primi, infatti durante la rivolta, che si concludeva nel settembre del 1901, i militari delle otto nazioni arrivavano a circa 50 mila uomini.
Le cose in quel giugno precipitarono rapidamente, il Governo cinese guidato da Cixi, dopo avere dato parere positivo ad una spedizione internazionale per garantire l’ordine, in un secondo tempo sposava la causa dei Boxer e chiedeva ai diplomatici di andarsene dal paese entro 24 ore: era il 19 giugno 1900. La mattina del 20 giugno, il Barone e diplomatico tedesco Clemens von Ketteler, veniva assassinato in un agguato e una volta ucciso, gli venivano tolti gli occhi e la pelle. Un affronto inaccettabile per la Germania che risponderà duramente reagendo in modo altrettanto spietato e violento. 

Kaiser Guglielmo II nel 1902
L’intento era punire e vendicare l’assassinio di Ketteler e lo si capisce benissimo nel discorso che il Kaiser Guglielmo II pronunciò al contingente tedesco che stava partendo alla volta della Cina. Questo discorso passerà alla storia come il discorso degli Unni, ne riporto una parte: “Quando vi troverete faccia a faccia con il nemico, sappiate batterlo. Nessuna grazia! Nessun prigioniero! Tenete in pugno chi vi capita sotto le mani. Mille anni fa, gli Unni di Re Attila si sono fatti un nome che con potenza è entrato nella storia e nella leggenda. Allo stesso modo voi dovete imporre in Cina, per mille anni, il nome tedesco, in modo che mai più in avvenire un cinese osi guardare di traverso un tedesco.”3 
Non solo, il Governo cinese, il 21 giugno dichiarava guerra alle potenze europee e la questione cinese degenerava in modo irrecuperabile. In quel Giugno, le città di Pechino e TienTsin, erano sotto assedio dell’esercito regolare cinese e delle truppe irregolari dei boxer. A difendere diplomatici, civili e cinesi cristiani, erano poche centinaia di militari, tra cui i marinai italiani che emergevano per valore e coraggio. Si legge di quelle settimane: “Duranti i mesi d’assedio, che ebbero sopportare gli stranieri in queste due città, i marinai italiani compirono indimenticabili atti di valore.”4 Al quartiere delle delegazioni europee, i marinai italiani, insieme al resto del contingente internazionale, nonostante l’inferiorità numerica schiacciante, riuscivano a frenare l’avanzata dei boxer e si distinsero per valore e coraggio. Scrivevano di quei giorni “…Il nostro Ministro…Salvago Raggi… chiamò infatti a Pechino un distaccamento di Marina comandato daltenente di vascello Paolini ed a Tien Tsin un secondo distaccamento col sottotenente Ermanno Carlotto…Durante i mesi dell’assedio che gli stranieri ebbero a sopportare in queste due città, i marinai italiani compirono indimenticabili atti di valore. Il Tenente Paolini, benché con soli 28 uomini, fece brillanti e parecchie sortite, catturando una batteria di boxer che tempestava la delegazione…Il sottotenente Olivieri riuscì a liberare le sue seriamente minacciate nel convento di Paoting, difendendosi eroicamente dagli assalti nemici, i quali facendo brillare una mina lo costrinsero a rimanere coi suoi marinai per circa due mesi e mezzo fra le più dure privazioni…”5 In quegli scontri morivano centinaia di boxer e anche dei militari italiani, una decina circa. I militari italiani, per il grande valore e coraggio dimostrato, si guadagnarono importanti onoreficenze, come Federico Tommaso Paolini e Angelo Oliviero che si vedevano conferire la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Il primo con questa motivazione: “Per avvedutezza, coraggio e sangue freddo dimostrato durante la difesa della legazione a Pekino rimanendo ferito il 1° luglio 1900 mentre alla testa dei suoi marinai si slanciava all’assalto di una barricata sotto la cui protezione un pezzo nemico cagionava gravi danni”6 mentre il secondo invece per questa: “Per avvedutezza, coraggio e sangue freddo dimostrato durante la difesa delle missioni cristiane al Pe Tang (Pekino). Alla testa dei suoi Marinai costrinse a sloggiare due cannoni nemici che tiravano contro le improvvisate difese, salvando la parte nord del a Tang. (24 giugno 1900). Rimase inoltre sepolto per circa 40 minuti sotto le macerie , prodotte dallo scoppio di una mina che cagionò la morte di cinque marinai italiani e più di cento cristiani ricoverati nella missione. (12 agosto 1900)”7 Nel luglio del 1900, le otto nazioni mandavano un grosso contingente militare per sedare la rivolta, ormai divenuta un fiume in piena. 

La Tribuna Illustrata che da notizia della
partenza 
I soldati italiani partivano il 19 luglio 1900 dal porto di Napoli. Il Corpo di spedizione italiano era comandato dal Colonnello Vincenzo Garioni e composto da circa 2000 uomini: 83 ufficiali e 1882 soldati. I militari italiani venivano caricati su 3 piroscafi erano: Singapore, Minghetti e Giava.8 Quel giorno il porto di Napoli era gremito di uomini e donne, le fonti ci dicono 200 000 persone, che arrivavano per portare un saluto ai militari italiani. Presenziava anche il Re Umberto9 che ai soldati italiani pronunciava questo discorso: “Ufficiali, sotto Ufficiali, Caporali, Soldati! A voi, pronti a salpare, porto il mio saluto e col mio quello della Patria bene augurante della fortuna delle vostre armi. Non a conquista, ma a sola difesa del sacro diritto delle genti e dell’umanità calpestati voi vi recate in lontana regione, dove la nostra bandiera è stata oltreggiata. Alla vostra missione avrete come già altre volte compagni, soldati delle più potenti Nazioni del mondo. Siate con essi buoni camerati e sappiate tener alto il prestigio dell’esercito italiano e l’onore del nostro paese. Andate quindi fiduciosi: io vi accompagno col cuore. Iddio benedica la vostra impresa. UMBERTO.”10 Tra quei soldati c’era uno scandianese, Bertolini Francesco.

FRANCESCO BERTOLINI IN CINA 
Nato il 18 maggio 1879 e figlio di Sebastiano, Francesco veniva inquadrato nel 4° Reggimento Bersaglieri. Bertolini insieme al contingente italiano, arrivava il 12 agosto a Singapore, poi il 20 ad Hong Kong e infine il 29 agostoa Taku. Ad attenderli nella baia di Taku c’erano 4 navi da guerra italiane, erano: Elba, Fieramosca, Calabria e Vettor Pisani.11 La guerra per sottomettere i rivoltosi fu tremenda e sanguinosa e in entrambi i casi si registravano esecuzioni sommarie e crimini ai danni di civili. Quest’ultimo caso specialmente tra le fila dei boxer, che inveivano contro i civili di fede cristiana. Del contingente partito il 19 luglio 1900, Bertolini fu tra gli ultimi a rientrare in Italia, infatti sbarcava al porto di Napoli il 26 dicembre 1901, dopo oltre un anno di guerra e una ferita che aveva conseguito durante il conflitto. Il 24 gennaio 1901 infatti, durante la Campagna di Cina, il bersagliere scandianese si feriva al ginocchio sinistro mentre faceva la guardia al Palazzo del Governo. Francesco Bertolini, inoltre, anni dopo la Campagna di Cina, prendeva parte alla Grande Guerra, dove aggregato al 209° Reggimento Fanteria, raggiungeva il fronte il 12 aprile 1917. Dopo la Grande Guerra, Bertolini si dedicava alla vendita di materiali edili e proprio a Ca de Caroli dava vita alla sua impresa famigliare. Negli anni 20 faceva costruire la sua casa, dove per tanti anni,risiederà il tabacchino del paese. Ancora oggi, sulla facciata dell’edificio, si legge “BERTOLINI FRACENSCO FECE COSTRUIRE NEL 1925”.

Ma ora torniamo alla rivolta dei Boxer.

Come ho già accennato, questi nazionalisti cinesi erano spietati soprattutto con i civili di fede cristiana. Alcuni di quest’ultimi verranno poi beatificati e fatti Santi da Papa Giovanni Paolo II nel 2000, scatenando un’accesa polemica con il Governo Cinese. Di quei “martiri” come li definì la chiesa vaticana, riporto la storia di una giovane ragazzina: Anna Wang. La sua tragica storia la porto ad esempio per tutti gli altri. Nata nel 1886 fu battezzata in tenera età. Quando scoppiò la “rivolta dei boxer” i villaggi vennero presi d’assalto, i rivoltosi bruciavano le chiese e mettevano i fedeli davanti ad una scelta: o convertirsi o morire. Anna nonostante fosse ancora una ragazzina di appena 14 anni scelse la seconda. Davanti alla sua fossa, scavata poco prima, le si intimò più volte di rinnegare Dio, anche con la violenza ma nulla, la sua fede era inattaccabile. Ci racconta di quel fatto lo storico e teologo Etienne Ducarnot: “Assassinarono donne e bambini come la piccola Anna Wang, quattordicenne, che i suoi torturatori vollero forzare all’apostasia. Al suo rifiuto, le fu tranciata la spalla con un colpo di sciabola. Anna tenne botta e rifiutò di nuovo; al secondo colpo di sciabola, cadde in ginocchio dicendo <la porta del cielo è aperta…Gesù…Gesù…Gesù!> Il suo volto rifletteva una una gioia celeste. Al terzo colpo di sciabola la sua testa rotolò al suolo.”12 Anna moriva così, a soli 14 anni e per la sua unica “colpa”: credere in Dio. La conta dei cinesi cristiani assassinati come Anna, ammontava ad oltre 32000 persone, uccise in modo atroce, proprio come Anna. La fine delle ostilità si raggiungeva il 7 settembre 1901, quando l’Imperatrice Cixi firmava la resa alle 8 potenze. Il trattato era pesantissimo per la Cina, umiliante aggiungerei. Al principe Ch’un per esempio, fu imposto di andare a chiedere scusa personalmente in Germania: “si sarebbe recato a Berlino per esprimere all’Imperatore di Germania il rincrescimento dell’Imperatore della Cina e del Gran consiglio per l’assassinio del barone Von Ketteler; nel luogo ove questi era stato ucciso sarebbe stato eretto un monumento.”13 Oltre l’umiliazione per la Cina veniva anche il lato economico, che era devastante. Doveva pagare un indennizzo di 450 milioni di teal, cioè 67 milioni di sterline, che era una somma ritenuta anche dagli Stati Uniti abnorme. Inoltre perdeva il controllo delle dogane marittime e concedeva nuove concessioni, come all’Italia, alla quale cedeva la città di Tien Tsin. Questa concessione rimaneva sotto giurisdizione italiana fino al 1943, quando dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i soldati giapponesi occupavano la città. Per questa cessione, il documento sottoscritto da Cina e Italia cita l’Art 3 “Tutto il terreno governativo della detta Concessione sarà dato dal Governo cinese gratis al Governo italiano, che ne diverrà regolare proprietario senza alcun pagamento.”14
Dopo la resa dell’esercito cinese e dei boxer, come ho scritto, un primo scaglione di militari italiani faceva ritorno in Patria e all’inizio del 1902, di quei soldati partiti nel luglio 1900, quasi tutti erano ritornati, compreso Bertolini Francesco. Anche se la guerra era finita, fino al 1905 alcuni soldati italiani rimanevano in Cina per garantire l’ordine e tra questi c’era uno scandianese: Rossi Aurelio

AURELIO ROSSI IN CINA
Nativo di Ventoso e classe 1881, Aurelio veniva inquadrato in Fanteria e il 5 settembre 1903 partiva dal porto di Napoli alla volta di TienTsin. Nel 1905 anche questa missione si concludeva e tutto senza scontri, infatti, dopo la rivolta dei boxer, l’ordine e la pace regnavano nel territorio. In quel 1905, si concludeva ufficialmente la “Campagna dell’Estremo Oriente”. Anche Rossi, come Bertolini, una volta scoppiata la Grande Guerra partiva per il fronte e già dall’ottobre del 1915, si trovava nelle trincee. Dopo appena un mese, veniva ferito mentre partecipava alle battaglie sul Monte Merzly, dove, insieme agli altri soldati italiani, riusciva ad espugnare trinceramenti nemici. Scriveva Cadorna del giorno in cui veniva ferito Rossi “…Nella zona del Monte Nero le nostre truppe rinnovarono ieri gli attacchi su ripidi fianchi del Merzly e del Vodil. Dopo alterne vicende di lotta accanita, forti trinceramenti nemici rimasero in nostro possesso…”15 Per questa azione veniva autorizzato a fregiarsi di un distintivo d’onore per la ferita riportata. Dopo la convalescenza, Aurelio tornava al fronte e combatteva fino alla fine del conflitto. Nel 1918, aggregato al 138° Fanteria, si trovava in Albania e lì, dopo la famosa data del 4 novembre 1918, che rappresentava la vittoria e la fine delle ostilità, Aurelio invece trovava la morte. L’11 novembre infatti, dopo giorni di febbre alta, spirava in un letto d’ospedale; purtroppo per lui, la vittoria e la fine del conflitto non gli avevano salvato la vita.

Ma ora torniamo a TienTsin.

La storia di quella concessione italiana è sempre rimasta nell’angolo in Patria, infatti fin da quel lontano 1901, sia alla politica che al commercio, in Italia non interessava di quella piccola concessione così lontana. Anche la storiografia nazionale ha affrontato pochissimo quella realtà italo-cinese. Oggi il quartiere definito Italian Style Town oppure Italian Style Street, che rappresenta la vecchia concessione italiana, è una zona molto frequentata da turisti, sia cinesi che stranieri. E’ una zona della città molto suggestiva in cui sono ancora presenti le ville e i palazzi italiani, oltre che piazze e monumenti. Si può vedere per esempio, Piazza Marco Polo, originariamente Piazza Regina Elena, realizzata in Onore della vittoria italiana nella Grande Guerra. Poi la Caserma dedicata ad Ermanno Carlotto, che ospitava durante la concessione il Reggimento San Marco, oggi centro della Polizia armata del popolo. Oppure il Palazzo della cultura, eretto durante il fascismo e che oggi rappresenta un importante centro sportivo.16 Anche in questo caso, il palazzo è stato inserito tra gli edifici da tutelare, fasci littorio compresi, questo per cercare di preservare l’edificio e la sua storia. Il Governo cinese infatti, rivolge a questo quartiere e i suoi edifici, politiche di valorizzazione e conservazione per mantenere vive le radici italiane. Queste politiche vengono ripagate da un flusso turistico notevole composto da cinesi e stranieri. Consultando anche il noto sito web dedicato al turismo, Tripadvisor, si può notare come il quartiere italiano brulichi di vita e di come gli edifici italiani siano i veri protagonisti. Dopo oltre un secolo da quel lontano 1901, anno in cui cominciava la concessione italiana di TienTsin, credo che anche quei due scandianesi che hanno partecipato e messo le basi a quel mezzo secolo di storia italo/cinese, finalmente abbiano il loro giusto ricordo, perché quella storia l’hanno scritta da protagonisti. Questo mio articolo è un omaggio a loro, ad eterno ricordo.

NOTE:

1 V. PURCELL, la rivolta dei boxer, RIZZOLI, 1972, p.94
2  Ibidem, Op, Cit, p. 84
3 LIU HUNG YUAN CINA: Storia Società e tradizioni, arte e cultura, religione e filosofia, Edizioni Pendagron, Bologna, 2000, p. 19
4 LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN Istituto coloniale fascista,  Roma, 1937, p.6
5  Ibidem, op, cit., p.7
6 Motivazione presa dall’Istituto del Nastro Azzurro
7 Motivazione presa dall’Istituto del Nastro Azzurro
8 LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN, op, cit., p.8
9 Dopo pochi giorni da quel 19 luglio, Re Umberto I veniva assassinato per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Era il 29 luglio e il luogo del regicidio era Monza. Questa triste storia nazionale non poteva che avere reazioni a Reggio Emilia e chiaramente anche a Scandiano, infatti la cittadina dei Boiardo, fu uno dei primi comuni a lutto della provincia e il 31 luglio il municipio pubblicava un manifesto di indignazione per l’orrendo misfatto, inviando alla Regina un telegramma di sincero compianto. Dalle finestre del municipio, degli edifici pubblici e privati, era esposta la bandiera in lutto, la campana maggiore del paese ha suonato lentamente per molto tempo annunciando la grave sciagura. I negozi e gli istituti rimanevano chiusi con la scritta lutto nazionale. Solo dopo pochi giorni, il 5 agosto, a Scandiano si annunciava la costituzione di un comitato per raccogliere fondi in vista della cerimonia funebre in onore del Re. Anche il comitato interparrocchiale cattolico scandianese interveniva pubblicando un manifesto con scritto “Il sangue fetido della rivoluzione scorre ancora nelle vene delle decrepita Europa, ed ogni giorno più ne addolorano i tristissimi effetti. La società civile, spostata dalle sue vere basi, gettata in braccio ad una libertà falsa, sfrenata e mercenaria, ha inaugurato l’era nuova spingendo Luigi XVI sotto la mannaia, e chiude un secolo, detto luminoso, aggredendo oscenamente in Umberto I° il principio d’autorità con un delitto che ripugna ad ogni senso umano. Domani comparirà davanti alle Assise di Milano l’esecrato Regicida; ma quel disgraziato qual cumolo di responsabilità rappresenta! Gli scristianizzatori del popolo, i nemici della chiesa, e quindi d’ogni principio d’ordine vero, debbono con lui rispondere delle infine ribellioni al trono ed all’altare. I cattolici scandianesi, fra la mestizia del rito espiatorio che si compirà domani nella chiesa di Dio, preghino perché colui che fece sanabili le Nazioni, si muova a pietà del suo popolo e lo salvi; perché gli effetti spaventosi di un’empia filosofia ne insegnino una buona volta, che solo può sperarsi salvezza dalla fede avita. Se il mostruoso avvenimento del 29 luglio segnerà il principio di un profondo risveglio religioso, oh quanto il RE sarà lieto d’aver dato il sangue per la patria, che tanto amava! A noi cattolici soltanto è dato di fecondare colle preghiere e colla carita del Cristo i germi della restaurazione sociale; chi vuol farlo senza Dio, tradisce la civiltà”.
Per la ricostruzione delle cronache di quei giorni, ho attinto le notizie dal quotidiano L’Italia Centrale del 2 e 7 agosto 1900 e dal settimanale l’Azione Cattolica del 2 agosto 1900
10 L’ITALIA CENTRALE, 1900 luglio 20
11 LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN, op, cit., p. 10
12 E. DUCORNET, La Chiesa e la Cina, Jaca Book Spa ,Milano, 2008, p. 39
13 V. PURCELL, la rivolta dei boxer,  op, cit., p.328
14 LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN, Op, Cit., p.15
15 Bollettino di Guerra del 29 novembre 1915
16 Per chi vuole guardare la TienTsin durante la concessione italiana, in cui si vedono anche gli edifici menzionati, suggerisco di visionare il Cinegiornale dell’Istituto Luce, nella puntata Visita alla Città di Tien-Tsin al sito: https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000015900/2/visita-alla-citta-tien-tsin.html?startPage=0&jsonVal={%22jsonVal%22:{%22query%22:[%22tientsin%22],%22fieldDate%22:%22dataNormal%22,%22_perPage%22:20}}

mercoledì 12 febbraio 2020

GIORNO DEL RICORDO: INCONTRO CON GLI ESULI DI SCANDIANO



Sabato 9 febbraio, in occasione del Giorno del Ricordo, si è svolto un incontro con gli esuli scandianesi. Hanno partecipato Giampaolo Pani, Presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e Roberto Riccò, autore del libro "Villaggio San Marco". Gli esuli che arrivarono a Scandiano dopo la guerra sono: Valdina Giachin e la sua famiglia, Emilia Manzin e Marino Manzin, tutti nativi di Dignano (Pola) e tutti presenti in questo incontro. Nel video le loro testimonianze.