sabato 24 dicembre 2016

GRANDE GUERRA: LA "TREGUA DI NATALE" SCANDIANESE

Tregua di Natale del 1914
Il Natale è un giorno importante in tutto il mondo, un giorno dal profondo significato.
Esiste un immagine che mi ha sempre colpito e che a mio avviso, nonostante sia un immagine immortalata durante la Grande Guerra, rappresenta perfettamente tutta la forza e la magia del Natale. Mi riferisco ai soldati britannici e tedeschi che nel dicembre 1914, nonostante il parere negativo dei propri governi, abbandonarono volontariamente le trincee fraternizzando tra loro. Si scambiarono doni e addirittura organizzarono partite di calcio. L'immagine postata rappresenta la "tregua di Natale" del 1914 dove per un attimo la guerra sembrava essere finita. In quei giorni gli uomini con divise diverse erano diventati tutti amici, fratelli; il Natale aveva fatto cessare gli spari e le cannonate, fermando, anche se solo per pochi giorni, la Prima Guerra Mondiale.


Cartolina del campo di Scandiano 
Ma la "famosa" tregua di Natale non colpì solo in quel 1914, tutt'altro, ci sono tanti altri "minori" episodi in cui il Natale metteva da parte odi e rancori e manifestava tutta la sua influenza tra gli uomini. Sempre durante la Grande Guerra, la "tregua natalizia" colpì anche a Scandiano (RE) e precisamente nella Rocca dei Bojardo. Durante il conflitto, infatti, il bellissimo castello cittadino fu adibito a campo di prigionia e già dal settembre del 1915 cominciavano ad arrivarvi centinaia e centinaia di prigionieri austriaci. Grazie a documenti e ai diari di un prigioniero rinchiuso in Rocca, Francesco Zanettin, sappiamo che durante il loro "soggiorno" furono trattati bene. 


Francesco Zanettin prima della partenza
partenza per il fronte
Il Comandante del campo di prigionia, colonnello Palladini, aveva un occhio di riguardo per questi detenuti e infatti era sua premura alleviare il più possibile  i dolori e le sofferenze che inevitabilmente la prigionia portava con sé. Le cronache del tempo ci raccontano che i prigionieri, una volta finito il conflitto, tornarono alle loro case con un buon ricordo di Scandiano e dai documenti e testimonianze raccolte nelle mie ricerche si può assolutamente confermarlo. Proprio nel 2019 ho conosciuto la figlia di uno di quei prigionieri che mi raccontò che il "babbo si era trovato bene in Emilia". Qui la storia di quell'incontro:https://www.ildolomiti.it/cronaca/2019/il-padre-fu-prigioniero-in-emilia-durante-la-grande-guerra-ora-uno-storico-contatta-la-figlia-a-caldonazzo-le-ho-raccontato-la-storia-del-suo-papa
Venendo alla tregua di Natale scandianese, nel dicembre del 1915 il Comandante Palladini disponeva che anche i prigionieri dovevano festeggiare il Natale e ai suoi sottoposti ordinò di consegnare loro dolci e del vino. Della "tregua di Natale" scandianese troviamo notizia anche nei diari del prigioniero Francesco Zanettin che annotava: "Ogi essendo le feste di Natale noi prigionieri abbiamo ricevuto, una pasta per uno e un po di vino". Erano prigionieri, nemici ma tutto questo non toglieva il fatto che era Natale anche per loro e un dolce e del vino non poteva mancare nelle loro celle. 




martedì 6 dicembre 2016

È uscito il nuovo numero del giornale "all'ombra del CAMPANONE" Marco Montipò tra i nuovi collaboratori

Oggi sul quotidiano reggiano "La Voce" è uscito un articolo promozionale del giornale scandianese "all'ombra del CAMPANONE".
È motivo di orgoglio leggere il mio nome e cognome tra i "collaboratori" del giornale, una gratifica al lavoro e al tanto tempo da me investito per la ricerca e lo studio della storia locale. L'articolo da me scritto parla degli scandianesi nella Guerra di Libia 1911-1912.
Il giornale "all'ombra del CAMPANONE" si trova in tutte le edicole scandianesi al prezzo di 1 Euro.

La Voce di Reggio Emilia 06/12/2016

lunedì 31 ottobre 2016

OGGI PER SCANDIANO SI FESTEGGIA HALLOWEEN, PER L'OCCASIONE VOGLIO RACCONTARE UNA STORIA DELL' ORRORE SCANDIANESE


Foto del Boia Bugatti Giovanni Battista detto Mastro Titta. Nasceva nel 1779 e morì nel 1869 a Roma. Fu un Boia dello Stato Pontificio e tra i più “famosi” della storia, nella sua carriera professionale eseguì oltre 500 esecuzioni. 
La foto postata di Mastro Titta è voluta, non solo perché tra i boia più famosi della storia ma anche perché rispecchia il tempo della storia raccontata, infatti la prima esecuzione fatta dal Boia Mastro Titta fu nel 1796, solo qualche anno più tardi della storia narrata.

Nella notte di Halloween per le vie di Scandiano si vedono mostri, teschi, fantasmi, i ragazzi si raccontano storie e si guardano film dell’orrore, una “macabra” nottata che da alcuni anni fa calare le tenebre nel paesino dei Bojardo. Per fortuna è tutta finzione, infatti all’oscurità si alternano le risate dei bambini, la dolcezza delle caramelle e un clima di festa e divertimento, una macabra finzione che nasce e muore nella magia di Halloween.

Voglio raccontare una storia proprio in questa oscura giornata, un sinistro racconto che ci riporta indietro nel tempo e ci può dare l’idea di cosa potevano vedere fino a pochi secoli fa i nostri antenati scandianesi.

Siamo ad Arceto nell’autunno del 1773, precisamente nella notte tra il 24 e il 25 novembre e un delitto violento e spietato turbava l’intera comunità, un certo Marco Braglia uccideva a colpi d’ascia le sue sorelle seminando il terrore nella frazione scandianese. L’assassino veniva arrestato la stessa sera dalle guardie ducali e per lui iniziava un processo che durò quasi tre mesi. Questi omicidi però non erano la parte più raccapricciante del racconto, anzi, il “bello” doveva ancora venire, infatti la sentenza era altrettanto spietata, l’assassino Braglia veniva condannato alla “decapitazione e lo smembramento del corpo”.

L’esecuzione si compiva alle 9 del mattino nella Piazza Maggiore[1] d’avanti alla comunità che assisteva in silenzio. Conosciamo tutti l’inverno emiliano e scandianese, il freddo umido che penetra nelle ossa e la fitta nebbia che come un bianco muro impedisce al sole di accarezzarci con i suoi raggi. E che dire dell’azzurro del cielo? vederlo in questa stagione era ed è una rarità, l’inverno tipico emiliano si prestava perfettamente a questa esecuzione facendone una cornice da film dell’orrore. 

Ma veniamo all’esecuzione, Il Boia davanti alla comunità tagliava la testa dell’assassino e smembrava il suo corpo in quattro parti, ma non era tutto, successivamente la testa veniva posta in una gabbia di ferro ed esposta pubblicamente per giorni all’ingresso del castello di Arceto.  Le parti del corpo, invece, venivano inchiodate a delle piante vicino alla casa del delitto, il tutto illuminato da torce perché ai tempi l’illuminazione pubblica ancora non esisteva e al calar del sole l’oscurità si impadroniva del paese. 
Tutti dovevano vedere, tutti dovevano temere, quella esecuzione era da monito per tutti.

A fine del 700 è questo che si poteva vedere a Scandiano, un macabro spettacolo che a differenza di oggi non era finzione, non c’erano le risate e le caramelle ad addolcire l’atmosfera, non era una festa ma una spettrale realtà.

La storia raccontata è stata presa dal libro Storia di Scandiano di Aderito Belli[2] in cui si narra anche che la gabbia contenente la testa di Marco Braglia era visibile ai musei civici di Reggio Emilia, purtroppo però, dopo una mia ricerca ho constatato che la gabbia non fa parte delle collezioni del museo, forse questa “reliquia” è stata smarrita nel tempo.




[1] Piazza Maggiore oggi chiamata Piazza Spallanzani
[2] Aderito Belli Storia di Scandiano, 1928 Pag 81

martedì 18 ottobre 2016

OGGI NEL 1912 SI CONCLUDEVA LA GUERRA DI LIBIA, UN RICORDO DI QUEGLI SCANDIANESI CHE SFIDARONO L'IMPERO OTTOMANO

Foto archivio privato:  Leopoldo Reverberi a Sidi Messri (Libia)

Il 29 settembre 1911 scoppiava il conflitto Italo-Turco definito la Guerra di Libia, durava circa un anno e si concludeva il 18 ottobre 1912 con la vittoria italiana.

Come nella Grande Guerra anche in questo conflitto c'era un grande poeta a sostenere l'intervento militare e le truppe italiane, ma questa volta non era D'Annunzio ma era Giovanni Pascoli e lo faceva in un suo memorabile discorso fatto nel teatro di Barca a Lucca nel novembre 1911 dal titolo "La grande Proletaria si è mossa".[1]

Oggi può sembrare una storia lontana da noi, lontana da Reggio Emilia e da Scandiano,  può sembrare una storia che non ci riguardi ma invece ci riguarda eccome, quella storia l'hanno scritta tanti reggiani e tanti scandianesi.

Nella guerra di Libia gli italiani schierati erano oltre 30 mila unità, di cui 1892 reggiani.[2]
Ogni Comune della provincia reggiana vedeva i suoi figli partire per combattere nella guerra di Libia, Scandiano fu il comune tra i maggiori donatori, infatti vedeva partire 58 suoi figli.[3] 
Questi scandianesi erano in molti casi umili cittadini di provincia che mai avevano visto oltre i confini nazionali, degli umili scandianesi che stavano per varcare il Mediterraneo e scrivere la storia sfidando l’Impero Ottomano.

Questo “lontano” conflitto lasciava sulle sabbie libiche circa 3431 italiani[4]  tra cui 50 reggiani, tra quest’ultimi c’erano anche degli scandianesi, due per l’esattezza, il primo fu Teggi Carlo di San Ruffino, classe 1888, caduto in combattimento il 9/11/1911 a Sciara-Sciat,[5] il secondo invece fu Bandelli Battista, classe 1890 caduto in combattimento il 23/07/1912 a Punta Buscaiba.[6] 

I reggiani combatterono con valore e ben 53 di loro venivano decorati con medaglie al valor militare e tra questi c’erano anche degli scandianesi. Il primo decorato era lo scandianese adottivo, Leopoldo Reverberi che da giovane tenente di fanteria si contraddistinse più volte per valore e coraggio e proprio per questo veniva decorato con la medaglia di bronzo al valor militare, la motivazione In ripetuti combattimenti tenne il comando del suo plotone con lodevole fermezza ed ardimento. Sciara Zauia, 26 Ottobre 1911 – Zanzur, 8 Giugno 1912”.[7] 
Inoltre sempre Reverberi sarà un ulteriore orgoglio per Scandiano, infatti nella Grande Guerra, sempre per valore e coraggio veniva decorato con la medaglia d’Oro dopo essere caduto sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche.
Il secondo Eroe invece era Olvi Iori, un soldato semplice che prendeva anch’esso la medaglia di bronzo con questa motivazione “In terreno scoperto e fortemente battuto dal fuoco nemico diede prova di slancio e coraggio distinguendosi fra i compagni finché cadde ferito. Lebda, 2 maggio 1912.[8]

Veniamo al giorno della vittoria, era il 18 Ottobre e in Svizzera i rappresentanti italiani e turchi firmavano la pace con il trattato di Losanna, la notizia in Italia era appresa con gioia e dalle grandi città ai piccoli comuni di provincia cominciavano le feste per la vittoria e per la pace. 
A Scandiano si festeggiava il 24 Ottobre nel magnificoTeatro Bojardo, le persone accorrevano per l’occasione e in poco tempo il teatro era gremito di spettatori, in primis il sindaco cittadino Venerio Zuccoli e tutta la giunta,[9]un giorno di festa per omaggiare quegli scandianesi che in prima persona, combattendo come leoni nelle sabbie libiche hanno reso possibile questo giorno e questa vittoria.



[1] Link dove leggere il discorso integrale di Giovanni Pascoli “La grande proletaria si è mossa”: http://cronologia.leonardo.it/storia/a1911f.htm
[2] Dal Cusna al Po, nel deserto, in mare, in cielo. soldati reggiani in Libia 1911-1918, Pag. 29
[3] Dal Cusna al Po, nel deserto, in mare, in cielo.  Op, Cit, Pag 30
[4] Fonte presa dal sito internet: https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_italo-turca
[5] Aderito Belli, “Storia di Scandiano” edizione 1966, pag 214 
[6] Dal Cusna al Po, nel deserto, in mare, in cielo. Op, Cit, Pag 144
[7] Motivazione presa dal sito: http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/#
[8] Dal Cusna al Po, nel deserto, in mare, in cielo. Op, Cit, Pag 303
[9] L’Italia Centrale 26/10/1912


venerdì 23 settembre 2016

UNA GUERRA PER L'ACQUA: IL 23 SETTEMBRE 1201 REGGIO DICHIARA GUERRA A MODENA

Foto del Fiume Secchia, il fiume conteso.
Siamo nell'era dei "liberi comuni" in età medievale e in quell'epoca ogni Comune poteva vantare una propria politica economica e militare.
Il Comune di Reggio si era dovuto scontrare con diverse città,  Parma, Mantova e Modena, città quest'ultima da sempre in lotta con Reggio, una rivalità che legherà in un abbraccio di amore e odio le due città emiliane per tutto il cammino della storia.
In quel periodo una delle cose per cui valeva la pena muovere guerra ad una altra città era sicuramente la provvigione d'acqua, cosa fondamentale perché vitale per la vita e per l'economia della città.
Su questo punto Reggio aveva un grosso problema, infatti il Crostolo non soddisfava la domanda per la sua esigua portata e i fiumi più vicini erano l'Enza e il Secchia che purtroppo erano di dominio dei parmigiani il primo e dei modenesi il secondo.

I reggiani puntarono il secchia cosa che non piacque affatto ai modenesi, anzi, decisione che alzò la tensione fra le due città emiliane e dopo svariate scaramucce tra le due popolazioni, il 23 settembre del 1201 i reggiani tagliarono la testa al toro, con in testa il podestà Buvalello Bologenese, circa duemila fanti e centinaia di cavalieri mossero guerra a Modena.
I due eserciti si trovarono faccia a faccia sul ponte del Sanguineto, presso Formigine, quello modenese era più numeroso e meglio equipaggiato anche perché Modena era una città più ricca e signorile di Reggio e poteva permettersi il meglio anche nel campo bellico.
Ma i reggiani avevano l'astuzia e la tenacia, erano pronti a tutto e con il loro coraggio travolsero i modenesi, fu una disfatta per Modena, tantissimi i morti e chi non cadeva sotto i colpi dei reggiani veniva fatto prigioniero, tra questi anche il Podestà modenese Alberto da Lendenara.

Dopo questa grande vittoria i reggiani fortificarono Rubiera costruendo il castello oltre delle mura difensive e per realizzare queste opere impegnarono gli stessi prigionieri modenesi. Sarà sotto queste mure che nel giugno del 1202 i vinti provarono a riscattarsi e con un esercito rinvigorito da truppe veronesi e ferraresi, armati di mangani e lancia sassi, i modenesi misero Rubiera sotto assedio ma tutto inutilmente, Rubiera era inespugnabile. A quel punto Modena non poteva che accettare i reggiani e proprio sul fiume secchia, il 6 agosto del 1202 i podestà delle due città, Manfredo Pico per Modena e Gherardo Rolandino per Reggio firmarono la pace.
Finalmente era ufficiale, i reggiani potevano navigare e prelevare le acque del Secchia, inoltre i confini derivati dalle battaglie appena concluse erano i nuovi confini delle città, una vittoria su tutta la linea per Reggio.

Alcuni passaggi del racconto sono tratti dal libro: "Diritti della Città di Modena sulle acque di Secchia.." per gli eredi Soliani tipografi reali, Modena, 1827.

venerdì 16 settembre 2016

OGGI RICORRE IL 220° ANNIVERSARIO DELLA "BATTAGLIA" DI SCANDIANO, IL FATTO DI SANGUE PIU GRAVE DURANTE LE INSORGENZE NEL TERRITORIO REGGIANO



Albero della libertà di Reggio Emilia durante il periodo Napoleonico disegno del 1797

La notte del 25 agosto 1796 i patrioti reggiani alzarono l'albero della libertà in piazza grande, albero simbolo della rivoluzione francese. L'albero, un grande pioppo, fu eretto nel centro della piazza con la scritta "Tremate, o Tiranni, tremate, o Perfidi, alla vista della Sacra Immagine della Libertà"[1]. La mattina del 26 agosto, decine e decine di reggiani e soldati francesi ammiravano l'albero e intonavano canzoni patriottiche mentre il senato annunciava la nascita della repubblica reggiana.
Il clima di quegli anni non era affatto sereno sia per i fedeli agli Este che per i repubblicani reggiani, infatti le cittadine adiacenti a Reggio aderivano alla nuova Repubblica a macchia di leopardo. Molte non aderirono a questo progetto, non vollero il cambiamento, ma si chiusero su se stesse e della neo Repubblica non ne vollero sapere, una di queste fu proprio Scandiano. A seguito di questi avvenimenti il 3 settembre del 1796 alcuni patrioti reggiani si recavano a Scandiano per innalzare anche qui "l'albero della libertà"[2].
Si trattava di reggiani ardenti, coraggiosi e smaniosi di innalzare quel simbolo di libertà in una cittadina "nemica". Arrivati riuscirono nell'impresa e abbatterono anche le insegne ducali, gesto quest'ultimo che mandò su tutte le furie la reggenza di Modena, di cui pretese spiegazioni a Reggio. L'albero però durò poche ore, venne, infatti, abbattuto dalle guardie ducali e da alcuni scandianesi fedeli agli Este.
Il clima era incandescente in quei giorni, infatti un paio di reggiani passarono per Scandiano indossando la divisa della neo Repubblica con al petto la coccarda francese. I cittadini insorsero e, spalleggiati dai soldati ducali armati, intimarono ai due reggiani di togliersi la coccarda, cosa che non fecero e per questo fu immediatamente decretato il bando per i due patrioti[3].
I reggiani, però, non accettarono l'abbattimento dell'albero e le ultime "violenze" perpetrate dagli Scandianesi. Il 16 settembre organizzarono una rappresaglia, diverse carrozze guidate da fervidi patrioti si diressero nel paesello. Entrarono in Scandiano dalla porta che guarda Reggio, ma fu subito chiusa alle loro spalle e fu chiusa anche quella opposta che guarda in direzione di Sassuolo. Di colpo si trovarono in trappola, vittime loro stessi di una rappresaglia organizzata ad hoc. Suonarono le campane (segno di allarme) e i soldati ducali e alcuni scandianesi aprirono il fuoco contro i patrioti che iniziarono a scappare e a cercare riparo nelle case di conoscenti.
Rimase ferito un giovane ragazzo e gli altri furono fatti prigionieri e incarcerati nella Rocca. Finì male, invece, per un giovane reggiano che riuscì a scappare fuori dalle mura cittadine, ma fu colpito a morte nelle campagne adiacenti[4]. La terribile notizia giunse a Reggio dove una piazza inferocita reclamò vendetta per i patrioti e solo dopo che il senato assicurò il rilascio dei prigionieri, i reggiani si calmarono.
La mattina del 17 un agente militare si recò in Scandiano per interrogare sull'accaduto gli scandianesi e liberare i patrioti arrestati. Fu interrogato anche l'illustre Lazzaro Spallanzani[5], il quale non aiutò e non diede informazioni valide, forse un po’ complice moralmente dell'accaduto, come del resto gli altri compaesani.  Dopo un piccolo interrogatorio, si ordinò la restituzione delle armi e l'immediato rilascio dei prigionieri. Così fu e i patrioti ripresero la strada per Reggio.


CONCLUSIONE:

La storia raccontata è solo una piccola pagina di quegli anni, una piccola parte di quei grandi cambiamenti che colpirono l'intera Europa, certo piccola per dimensione ma di grande significato e valore. La devozione e la fedeltà degli scandianesi agli Este si riassume in questo piccolo passaggio storico che io ho voluto raccontare per dare quelle sfumature di cui la storia necessita. Inoltre, sono contento da scandianese di riportare alla luce questi significativi passaggi storici dei nostri avi e poterli condividere oggi nel 2015 con l'intera comunità. Purtroppo molti, troppi pezzi del nostro passato sono andati perduti e dimenticati e tocca a noi ricostruire il puzzle per avere una visione a 360° di Scandiano nel corso dei secoli. Abbiamo testi e racconti che meritano di essere letti e raccontati, libri che dormono silenziosi nelle nostre biblioteche reggiane, oggi uno di essi ha parlato e ci ha raccontato una piccola storia scandianese immersa nella grande storia dell’umanità.


MARCO MONTIPO’




[1] U.BASSI, reggio emilia alla fine del secolo XVIII (1796 – 1799) REGGIO NELL’EMILIA stabilimento litografico degli artigianelli 1895.   Pag 80 nota 4
[2] U.BASSI, CIT, pag 109 nota 1
[3] U. BASSI, CIT, pag 110 nota 2-3
[4] U. BASSI, CIT, pag 112
[5] U. BASSI, CIT, pag 113 nota 2

venerdì 15 luglio 2016

Successo dell’evento inaugurale di Scandiano e Identità



Gazzetta di Reggio 15 luglio 2016
Prima Pagina Reggio 15 luglio 2016
Resto del Carlino 17 luglio 2016

Mercoledì sera al castello La Torricella di Ventoso, in quel di Scandiano, il professor Franco Cardini ha tenuto una conferenza dal titolo Medioevo: quando l’Europa era cristiana. L’evento, organizzato da Scandiano e Identità e la Pro-loco scandianese, costituiva il battesimo della nuova associazione culturale locale, appunto, Scandiano e Identità.
Il successo della serata è stato enorme. Le trecento sedie predisposte non sono bastate per far accomodare tutto il foltissimo pubblico accorso. Si sono infatti potuti contare oltre trecento partecipanti. Questo inizio trionfale non è stato che il primo passo. Scandiano e Identità ha già predisposto un nutrito programma di iniziative che partirà in autunno, per proseguire durante tutto l’inverno e concludersi nella primavera del 2017. Il primo appuntamento sarà 18 settembre, quando, in occasione della giornata cultura ebraica, Beniamino Goldstein, Rabbino di Modena e Reggio, terrà una conferenza sulla presenza ebraica a Scandiano.

UFF. STAMPA SCANDIANO E IDENTITA'


mercoledì 13 luglio 2016

IL 13 LUGLIO NEL CASTELLO DELLA TORRICELLA NASCE "SCANDIANO E IDENTITA"

Il castello della Torricella, foto realizzata da Roberto Federici
Stasera, alle ore 21 nel bellissimo castello della Torricella nascerà "Scandiano e Identità", associazione culturale con l'obiettivo di valorizzare e promuovere la storia, le tradizioni, i dialetti e la cultura locale, un patrimonio secolare da preservare e non disperdere.
L'associazione ha elaborato un palinsesto di quasi un anno, fatto di incontri, dibattiti e convegni per riscoprire l'intera storia locale, dai Fogliani ai Boiardo, dagli Estensi all'unità d'Italia, un palinsesto che metterà alla luce Scandiano a 360 gradi e che porterà importanti personalità come appunto Cardini.
Stasera il medievalista Cardini terrà una lezione magistrale sul tema "IL MEDIOEVO, QUANDO L'EUROPA ERA CRISTIANA".
L'evento è aperto a tutti e a fine serata sarà offerto un buffet con i prodotti tipici locali.




Resto del Carlino 13 luglio 2016

Gazzetta di reggio 13 luglio 2016

venerdì 13 maggio 2016

IL 13 MAGGIO 1943 FINIVA IL SOGNO DELL'AFRICA ITALIANA


Il sogno dell'Africa italiana parte da lontano, fin della proclamazione d'Italia, nel 1861, i padri della patria provano a equilibrare la bilancia del potere in Europa e mettere il nostro paese al pari delle grandi potenze coloniali, come Francia ma soprattutto come l'Inghilterra.

Dopo svariati tentativi nel 1882 l'Italia realizza il suo sogno, la città Eritrea di Assab diventa italiana e incomincia l'era coloniale.

Nel suo massimo splendore il colonialismo italiano conta 4 colonie africane, la Somalia, la Libia, l'Eritrea e l'Etiopia. 

Il sogno dell'Africa Italiana finisce oggi nel 1943 in Tunisia, con la conclusione della Campagna Africa Settentrionale e la sconfitta delle truppe italo tedesche. 
La Campagna Africa settentrionale è  il teatro di guerra dove gli italiani sono i protagonisti principali, i primi ad entrare di scena e gli ultimi ad uscirne. 
I bersaglieri e la folgore hanno scritto la storia con il loro coraggio e il loro valore, gli alleati tedeschi lo riconobbero e addirittura i nemici, i quali lo misero nero su bianco per renderlo eterno.

Tutti noi abbiamo in mente la battaglia di El Alamein, crediamo essere la più famosa e la più eroica, ma non è così, o almeno, c’è molto di più in quella campagna di guerra, l’eroismo italiano vive in tutto il conflitto, fino a quel 13 maggio 1943. 

Voglio dedicare questo giorno a quegli italiani caduti, dispersi o prigionieri in terra d’Africa, quegli italiani che hanno scritto la storia con il loro sangue e il loro coraggio. Lo dedico in particolare a mio zio, Montipò Pietro, un bersagliere scandianese che a pochi giorni dalla fine del conflitto, dopo essere stato premiato per lodevole comportamento in combattimento, il 23 aprile 1943 è caduto in combattimento, lottando come un leone.
Sono fiero di tutti loro, erano l'Italia più bella, la più valorosa, li voglio ricordare e onorare con l'ultimo bollettino di guerra in terra d'Africa, un bollettino scritto dal Generale Antonio Messe il 13 maggio 1943: 
La I armata italiana, cui è toccato l' onore dell' ultima resistenza dell' Asse in terra d' Africa, ha cessato stamane per ordine del Duce, il combattimento.
Sottoposta all' azione concentrica ed ininterrotta di tutte le forze anglo - americane terrestri ed aeree, esaurite le munizioni, priva ormai di ogni rifornimento, essa aveva ancora ieri validamente sostenuto, con il solo valore delle sue fanterie, l' urto nemico.
è così finita la battaglia africana durata, con tante alterne vicende, trentacinque mesi.
Nelle ultime lotte, durante le quali tutti i nostri reparti - e quelli germanici a loro fianco schierati - si sono battuti in sublime spirito di cameratesca emulazione, le artiglierie di ogni specialità e il Raggruppamento esplorante corazzato cavalleggeri Lodi davano, come sempre, splendida prova.
L' eroico comportamento dei nostri soldati che, sotto la guida del Maresciallo d' Italia Giovanni Messe, hanno nella lunga battaglia assolto tutti i compiti loro commessi e conquistato nuova gloria alle proprie bandiere, riconsacra nel sangue e nel sacrificio la certezza dell' avvenire africano della Nazione.







Il sacrario italiano di El Alamein, immagini prese dal sito della difesa:  http://www.difesa.it/Il_Ministro/ONORCADUTI/Sepolcreti/Pagine/ElAlamein.aspx

Tutte le volte che leggo questa targa non posso che pensare a mio zio, a lui e quello che ha fatto. Un orgoglio indescrivibile...




sabato 23 aprile 2016

IL MONDO RICONOBBE IL LORO VALORE L'ITALIA LI DIMENTICO': LA STORIA DI UNO SCANDIANESE DIMENTICATO

La mia famiglia è la classica famiglia reggiana, di estrazione socialista e con il nonno partigiano, tutto nella norma, così sono la maggior parte delle famiglie nostrane, ma poi sono andato a fondo nel cercare notizie e informazioni, ho voluto saperne di più dei miei avi e ho scoperto verità e notizie di cui non si parlava, "dimenticate". 
Ho scoperto la storia di mio zio, il primogenito dei Montipò, bersagliere caduto nella campagna dell' Africa Settentrionale, un umile scandianese che scrisse la storia.

Però ora torniamo a mio nonno, Giovanni Montipò, classe 1927 che a soli 17 anni decise di combattere insieme ai partigiani la "guerra di liberazione". Era molto giovane, appena un ragazzo, era un sappista del I° BATTAGLIONE della 76° brigata SAP.  
Fin da piccolo sentivo parlare di lui, dei partigiani, delle loro imprese, anche in paese, a Chiozza, i più anziani mi parlavano di mio nonno, specialmente quando andavo a tagliarmi i capelli dal barbiere simbolo del paesino, da "checco"! 

Scheda Anpi di mio nonno

A me però colpiva una foto in bianco e nero di un ragazzo col cappello piumato, quel cappello da bambino mi piaceva tantissimo, era una foto sul mobile in sala, mi dicevano che era lo zio morto in Africa, di più non si sapeva e non dicevano. 
Io sono andato a fondo , ho voluto scoprire la storia di quel ragazzo col cappello piumato e qualche anno fa ho trovato le risposte alle mie domande. 

Mio zio si chiamava Pietro Montipò, classe 1920, era il primogenito dei Montipò, il fratello maggiore, era una persona semplice e volenterosa, un bracciante di umile famiglia con la terza elementare come titolo di studio. 
Veniva congedato per il servizio di leva il 1 giugno 1939. Il 2 febbraio 1940 veniva richiamato alle armi, la seconda guerra mondiale era già iniziata da mesi, l'Italia era ancora non belligerante ma la guerra era chiaramente alle porte. Mio zio veniva arruolato, il 25 maggio 1940 nel 12° reggimento bersaglieri della 133° divisione Littorio. 

Nel giugno del 1940 partiva per il fronte alpino occidentale contro la Francia, poi nell'aprile 1941 combatteva sul fronte alpino orientale, quello italo/jugoslavo. Il 1° Gennaio 1942 si imbarcava a Napoli per Tripoli, partiva per la campagna Africa Settentrionale. 
In Africa veniva arruolato nell'8° reggimento bersaglieri combatteva in tutte le battaglie più importanti, più feroci che la storia ricordi, quelle battaglie in cui gli italiani nonostante abbiano perduto ottennero l'onore delle armi dai vincitori. 

Combatteva nelle "famose" battaglie di El Alamein, dove mio zio, veniva premiato "per lodevole comportamento in combattimento". 
Nell'autunno del 1942 cominciava la ritirata, dopo mesi di vittorie, i soldati dell'asse subivano la massiccia offensiva inglese. I reparti decimati con i suoi sopravvissuti (tra cui mio zio) marciavano verso la Tunisia per l'ultima resistenza e il 1° dicembre 1942 dalle ceneri dei reparti annientati veniva ricostituito l'8° reggimento bersaglieri, assegnato alla 136° divisione corazzata "giovani fascisti".  

In Tunisia gli italiani riuscivano ancora a resistere eroicamente, si battevano con valore assoluto, tanto che sia gli alleati tedeschi che i nemici inglesi riconobbero il valore e coraggio di cui erano fatti i soldati italiani.  
Mio zio combatteva fino al 23 aprile del 1943 dove cadeva in combattimento a pochi giorni dalla fine delle operazioni (la guerra in Africa settentrionale finiva il 13 maggio 1943). 



Foto di Montipò Pietro


Foglio matricolare di mio zio e la medaglia della campagna africa settentrionale

Fronte medaglia campagna africa settentrionale

Retro medaglia campagna africa settentrionale


Alla fine di questa storia non voglio giudicare (come fanno alcuni) su chi era il giusto e chi sbagliato, su chi "merita" il ricordo e chi no, tutte e due questi Montipò li porto dentro di me con orgoglio, erano tutte e due giusti, è la guerra quella sbagliata.
Inorridisco a pensare che mio zio e tantissimi italiani sono stati volutamente dimenticati per volere politico, oggi dovremmo ricordare chi è morto per l'Italia, quelle decine e decine di migliaia di italiani caduti mentre indossavano l'uniforme, mentre rappresentavano l'Italia e il popolo italiano.
Il mondo e i vincitori alleati, i libri di storia e le cronache belliche ci tramandano il valore dei soldati italiani, specialmente in Africa, dove hanno tirato fuori il meglio di se, tutti lo riconoscono e lo ricordano, tutti tranne l'Italia che per convenienza politica e IPOCRISIA preferisce dimenticare.
Quel ragazzo ventenne, quel mio zio che scrisse la storia da vinto, dopo decenni di silenzio, lo faccio rivivere in queste righe, sul mio blog perché le sue gesta meritano di essere ricordate, il suo ricordo deve essere patrimonio di tutti, uno scandianese che in Africa ha combattuto come un leone.
Aveva superato tutte le battaglie più dure, "un sopravvissuto" ma a pochi giorni dalla fine non c'è l'ha fatta, oggi nel 1943 cadeva in combattimento. Che tu possa riposare in pace e che le tue gesta rimangano per l'eternità, eri, eravate l'italia migliore, la più valorosa!

Marco Montipò

sabato 27 febbraio 2016

RI-INTITOLARE LA PIAZZA ALL' EROE CESARE BATTISTI, LA RICHIESTA DEI PROMOTORI DELLA CONFEERNZA

Articolo Resto del Carlino 27/02/2016
foto dei promotori: Luca Rossi, Sebastiano Parisi, Marco Montipò, Mauro Del Bue
Foto della sala


COMUNICATO STAMPA:

Come organizzatori non possiamo che essere contenti per la numerosa partecipazione alla conferenza su Cesare Battisti, che ci infonde coraggio per andare avanti nella lettura corretta della storia e nell'esaltaziine dei nostri padri della patria.


La medaglia d'oro al valor militare Cesare Battisti, un socialista trentino, deputato al Parlamento di Vienna e alla dieta di Insbruck, definito "eroe della patria" della grande guerra, viene ovunque ricordato come un Eroe nazionale tranne che a Reggio Emilia e questo è inaccettabile.

La sala piena in un giorno settimanale con il cattivo tempo, in particolare di giovani e studenti, dimostra che l'interesse per questa figura, per il patriottismo e per la storia italiana è ancora molto viva. Da questa sala partirà una battaglia pubblica,  che non ha colore politico o sigle di partito, ma che ha come vessillo il tricolore, una battaglia di difesa ed esaltazione della nostra storia.

Mauro Del Bue, in primis, ha lanciato la proposta di intitolare la piazza Del Monte di nuovo a Cesare Battisti, piazza intitolata a lui nel 1916 da una giunta socialista e che senza motivo gli è stata tolta alcuni anni fa da chi forse non conosce la storia.

Togliere l'intestazione della piazza non è solo uno sfregio alla figura di Battisti ma a tutta la nazione, a quei 600000 italiani caduti per l'Italia nella grande guerra, uno sfregio alla storia del nostro paese.

Con Del Bue anche gli altri organizzatori Marco Montipò, Sebastiano Parisi e Luca Rossi sposano la proposta lanciata e annunciano che nell'anno seguente, il 2016, anno del centenario del martirio di Cesare Battisti, nelle piazze reggiane si darà vita ad una raccolta firme aperta a tutti, una sorta di comitato cittadino per chiedere che l'eroe della patria abbia di nuovo la sua piazza, che giustizia venga fatta.

Montipò conclude dicendo che finché l'Italia esisterà, Battisti vivrà!



I PROMOTORI:
MARCO MONTIPO        (Nucleo MAg)

MAURO DEL BUE          (Direttore dell'Avanti e Storico)

SEBASTIANO PARISI    (Movimento Irredentista Italiano)

LUCA ROSSI                  (Socialismo Patriottico)

mercoledì 17 febbraio 2016

NEL CENTENARIO DELLA MORTE DEL PATRIOTA CESARE BATTISTI: CONFERENZA PER RISCOPRIRE LA FIGURA DELL'EROE NAZIONALE

Locandina della conferenza

Cesare Battisti è la figura simbolo dell'italianità e dell'eroismo italiano nella grande guerra. 
In tutta Italia la sua figura è tutelata e omaggiata, tutta Italia tranne Reggio Emilia che da anni si cerca di dimenticare o addirittura denigrare questo eroe,  prima togliendogli la piazza in suo onore e l'anno scorso omaggiando chi voleva impedirgli di parlare a Reggio Emilia nel febbraio del 1915, impedimento (non riuscito) che costò la vita a due manifestanti.

Il ricordo umano per quei manifestanti uccisi è condivisibile, specialmente dopo 100 anni, ma che non si usino i morti per riscrivere la storia, la parte giusta era una, quella dell'Italia, quella di Cesare Battisti, quella che tutti noi leggiamo nei libri di scuola e che ha scritto la storia, l'Italia che è scesa in guerra e che l'ha vinta! 

Noi non ci stiamo, non possiamo permettere che la medaglia d'oro al valor militare Cesare Battisti venga trattato in questo modo, per questo abbiamo deciso di organizzare questa conferenza per approfondire e riscoprire la figura del patriota Battisti, caduto per la causa italiana impiccato per mano austriaca.

Oggi il suo ricordo è doveroso e rendergli omaggio un dovere di tutti noi.

Marco Montipò
Umile patriota reggiano


Posto la cronologia degli eventi per fare comprendere ai lettori nello specifico di cosa parliamo e di contestualizzare il racconto,  di quando Cesare Battisti venne invitato a Reggio Emilia il 25 febbraio del 1915 per tenere un comizio a favore dell'entrata in guerra dell'Italia e i rossi internazionalisti gli organizzarono una contro manifestazione finita nel sangue.

La cronologia è ripresa dalle cronache dall'ora e riassunta per tutti voi. 
Il lavoro è stato fatto da Giorgio Eboli (che ringrazio) e da me.
Buona lettura

CESARE BATTISTI A REGGIO EMILIA (25 febbraio 1915)

21 febbraio: in un clima cittadino piuttosto acceso vengono promosse alcune manifestazioni neutraliste da parte dei socialisti locali che scatenano la protesta formale da parte delle associazioni interventiste cittadine (nazionalisti, irredentisti, radicali, studenti, liberali, ex militari, garibaldini).

22-23 febbraio: mentre i socialisti dimostrano contro l’ingresso in guerra dell’Italia viene confermata la presenza dell’On. Battisti a Reggio per il 25 febbraio, restano ancora ignote le modalità del comizio e il luogo che lo ospiterà.

24 febbraio: le forze di Pubblica Sicurezza impongono che la conferenza abbia luogo in forma privata tramite la distribuzione di inviti, ancora sconosciuto il luogo dove si terrà; intanto vengono chiamati a raccolta gli studenti, sempre in prima linea per la causa interventista.

25 febbraio: dopo un iniziale rifiuto da parte della Giunta socialista per il Teatro Municipale, viene concesso ai promotori il Politeama Ariosto grazie all’iniziativa dell’attore Fumagalli che rinuncia al proprio spettacolo affinché possa venire ospitato l’On. Battisti. Il “Giornale di Reggio” si occupa della distribuzione degli inviti; i socialisti garantiscono tramite il loro organo di stampa cittadino “La Giustizia” che non interverranno alla manifestazione ma allo stesso tempo mobilitano gli operai con toni tutt’altro che pacifici (“opporre alla mobilitazione guerrafondaia una mobilitazione operaia”).
La sera del comizio infatti si assiepa già a partire dalle 8 davanti al teatro una folla di contestatori socialisti che accoglie i partecipanti all’evento con calci, sputi e bastonate, avvengono i primi disordini tra contestatori e invitati e si registrano i primi feriti. All’arrivo di Cesare Battisti per le ore 9 la sala del Teatro esplode in grida di giubilo mentre all’esterno inizia una sempre più fitta sassaiola ai danni dei carabinieri schieratisi a protezione della struttura: in molti cadono sotto i colpi della folla e, vistisi attaccati, rispondono con frequenti cariche e con qualche isolato colpo di pistola. I manifestanti si disperdono lasciando sul campo un morto (al quale se ne aggiungerà un altro in nottata) e numerosi feriti.

26 febbraio: il giorno successivo i tragici avvenimenti del Teatro Ariosto gli operai socialisti proclamano un estemporaneo sciopero generale: riuniti in corteo percorrono le vie del centro storico costringendo i negozi a chiudere le loro serrande e si riuniscono di fronte al Municipio dove ascoltano il comizio del socialista Zibordi che annuncia l’arrivo a Reggio dell’On. Prampolini per il giorno successivo. Non mancano anche in questa occasione i casi di violenza: un sacerdote viene percosso da un gruppo di manifestanti in via Emilia Santo Stefano, mentre un ufficiale è vittima di una fitta sassaiola in via Emilia San Pietro, infine diversi negozi sono oggetto di atti di vandalismo. La Giunta Municipale decide di indire una serrata delle Scuole Elementari.
Intanto compaiono i primi resoconti di parte socialista agli eventi del 25: “L’Avanti!” e “La Giustizia” asseriscono infatti che i manifestanti si erano riuniti intorno al Teatro Ariosto per assistere all’ingresso dei comizianti e che, constatata l’impossibilità di entrare, si erano pacificamente disposti intorno alla struttura; senza alcun avviso quindi la forza di Pubblica Sicurezza avrebbe caricato gli astanti disperdendoli con inaudita violenza.

27 febbraio: scuole chiuse e negozi “invitati” ad abbassare le saracinesche entro le 10.30 del mattino fanno da cornice ad un’altra giornata di sciopero generale che culmina con l’atteso comizio di Prampolini in piazza Vittorio Emanuele. Il clima si scalda quando un non identificato gruppo di studenti lancia qualche slogan in favore della guerra dando inizio ad una vera e propria “caccia allo studente” da parte degli scioperanti che nella foga finiscono per prendersela anche coi figli di alcuni compagni; deve intervenire lo stesso Prampolini per placare gli animi e per evitare ad un altro ufficiale dell’esercito un probabile linciaggio.
Nel frattempo in Parlamento il Presidente del Consiglio Salandra - noto per le sue posizioni interventiste - difende l’operato dei Carabinieri reggiani e attacca gli organizzatori della contromanifestazione.

28 febbraio: si celebrano con grande partecipazione cittadina i funerali delle vittime degli scontri del Teatro Ariosto. Proseguono le violenze di cui fanno le spese questa volta un agente di commercio modenese scambiato per un agente in borghese e un altro studente.
Non si placano infine neanche le schermaglie mediatiche che vedono ancora una volta l’ “Avanti!” in prima fila a giustificare i socialisti reggiani e a difendere il loro sacrosanto diritto di salutare al loro passaggio i campioni del nazionalismo, il quotidiano si scaglia poi contro le forze dell’ordine le quali, nonostante sopportassero da più di un’ora la sassaiola dei manifestanti, non avrebbero dovuto rispondere ai sassi con i proiettili dei loro revolver.