Siamo in
Cina, a cavallo tra 1800 e 1900. In quel periodo, il paese asiatico
era in una fase storica di profonda decadenza ed era governato
dall’Imperatrice Cixi.
Al centro l'Imperatrice Cixi |
Mentre il progresso industriale elevava le grandi Potenze Europee, la
Cina feudale era rimasta immutata nel tempo e la chiusura totale al
libero mercato la emarginava dal resto del mondo. Giusto il giovane
imperatore Guangxu,
poi arrestato da Cixi,
provava a realizzare quelle riforme che avrebbero garantito un
processo di progresso alla Cina, mi riferisco alla riforma
dei cento giorni. In quel periodo storico, la
Cina esportava i suoi prodotti ma importava poco o nulla dall’esterno
e questo la metteva in cattiva luce con l’Occidente, in primis con
l’Impero Britannico, che dalla Cina importava tra le tante cose
grandi quantità di tè e seta. Questo commercio a senso unico
indebitava fortemente l’Inghilterra che vedeva in termini economici
solo uscite e niente entrate. L’Inghilterra però, avendo a
disposizione enormi quantità di Oppio, con le sue Compagnie delle
Indie Orientali riforniva clandestinamente il mercato cinese. L’Oppio
portava con sé parametri negativi in Cina come la tossicodipendenza,
la corruzione e non ultimo, l’impoverimento economico. l’Imperatore
Daoguang, già nel
1839 si ribellava e dichiarava guerra all’Impero Britannico. La
Cina in quel conflitto provava sulla propria pelle la superiorità
militare Occidentale e il 29 agosto 1842, con il famoso ”Trattato
di Nanchino” l’esercito cinese si
arrendeva agli Inglesi. Si concludeva così la Prima
guerra dell’Oppio e nel dettaglio, la
diplomazia della Corona britannica otteneva diversi vantaggi
commerciali: “per coprire le spese del
conflitto, l’Isola di Honk Kong fu ceduta alla Gran Bretagna in
possesso perpetuo e cinque porti, quelli di Canton, Amoy, Foochow,
Ningpo e Shanghai, vennero aperti al commercio internazionale.”1
Questo era solo l’inizio e da lì in poi, ulteriori guerre e
cessioni territoriali, facevano sprofondare il colosso asiatico in
una profonda crisi sociale mentre invece, la politica europea metteva
radici sempre più profonde in terra cinese. La Cina di fatto, in
quel periodo storico, aveva perso la sua sovranità. C’è da
aggiungere, per essere il più possibile precisi , che altre potenze,
oltre a quelle europee, stavano aggredendo la Cina per la propria
espansione territoriale e commerciale, erano: Giappone, Stati Uniti e
Russia. I primi, proprio da queste guerre, mettevano le basi per
diventare una grande potenza marittima asiatica come poi di fattosi
vedrà anche nella seconda guerra mondiale.
L’influenza
occidentale si ripercuoteva inevitabilmente anche nella politica
interna creando non pochi malumori, specialmente tra i ceti sociali
più bassi. Questi ultimi, verso la fine del 1800, diedero vita ad un
nazionalismo radicale, ostile sia al governo imperiale, perché
ritenuto incapace di tutelare i costumi tradizionali che agli
“invasori” europei
che, secondo loro, “occidentalizzavano”
il popolo cinese.
Boxer in marcia |
Tra gli storici ci sono diverse idee sulle
motivazioni che spinsero questi nazionalisti alla ribellione ma una
di queste accomuna tutte le correnti di pensiero: l’antieuropeismo.
Ci scrive Victor Purcell, importante storico britannico scomparso nel
1965: “Una caratteristica almeno della
rivolta dei Boxer è al di sopra di ogni discussione, e cioè che
essa fu antistraniera e, in particolare, antieuropea.”2
Questi
“nazionalisti radicali”
erano devoti alla tradizione millenaria cinese ed esperti nelle arti
marziali, diffidavano di cannoni e fucili e preferivano combattere
con le armi “antiche”
come archi e spade. Questa loro scelta era anche la condanna ad una
sconfitta certa infatti, poche migliaia di soldati occidentali,
battevano centinaia di migliaia di guerriglieri cinesi reclutati tra
le fila dei Boxer. I primi bersagli di questi nazionalisti xenofobi,
furono le aziende straniere con i loro dipendenti e anche i
cristiani, che vennero letteralmente massacrati. La religione
infatti, in questa rivolta, divenne una delle motivazioni principali.
Dalla famosa
Prima Guerra dell’Oppio,
ci furono diverse rivolte, spesso tra le varie popolazioni cinesi e
quasi sempre, le diplomazie occidentali non interferivano ma si
limitavano in alcuni casi, ad aiutare supportando una fazione al
posto di un'altra, chiaramente sulla base della convenienza politica.
A cavallo del ‘900 però, le cose cambiavano radicalmente e questi
nazionalisti attaccavano il cuore del potere straniero, il quartiere
delle legazioni a Pechino, in cui risiedevano i diplomatici e i
funzionari europei. Già da alcuni mesi, diverse aggressioni e
sommosse, segnavano la Cina ma sarà nel giugno del 1900, con
l’attacco di Pechino, che si darà inizio alla Rivolta
dei Boxer.
Il Governo
cinese non riusciva più a garantire l’ordine e la sicurezza ai
diplomatici, così, di comune accordo con le potenze europee, dava
parere favorevole all’invio di un contingente militare
internazionale.
Soldati rappresentanti delle nazioni coinvolte. Penultimo a dx è un bersagliere italiano. |
Il 1° Giugno 1900 arrivava il primo contingente di
circa 400 marinai, erano: inglesi, francesi, tedeschi, austriaci,
russi, giapponesi, americani e anche italiani. Erano solo i primi,
infatti durante la rivolta, che si concludeva nel settembre del 1901,
i militari delle otto nazioni arrivavano a circa 50 mila uomini.
Le cose in
quel giugno precipitarono rapidamente, il Governo cinese guidato da
Cixi, dopo avere dato
parere positivo ad una spedizione internazionale per garantire
l’ordine, in un secondo tempo sposava la causa dei Boxer e chiedeva
ai diplomatici di andarsene dal paese entro 24 ore: era il 19 giugno
1900. La mattina del 20 giugno, il Barone e diplomatico tedesco
Clemens von Ketteler,
veniva assassinato in un agguato e una volta ucciso, gli venivano
tolti gli occhi e la pelle. Un affronto inaccettabile per la Germania
che risponderà duramente reagendo in modo altrettanto spietato e
violento.
Kaiser Guglielmo II nel 1902 |
L’intento era punire e vendicare l’assassinio di
Ketteler e lo si capisce benissimo nel discorso che il Kaiser
Guglielmo II pronunciò al contingente
tedesco che stava partendo alla volta della Cina. Questo discorso
passerà alla storia come il discorso degli Unni, ne riporto una
parte: “Quando vi troverete faccia a faccia
con il nemico, sappiate batterlo. Nessuna grazia! Nessun prigioniero!
Tenete in pugno chi vi capita sotto le mani. Mille anni fa, gli Unni
di Re Attila si sono fatti un nome che con potenza è entrato nella
storia e nella leggenda. Allo stesso modo voi dovete imporre in Cina,
per mille anni, il nome tedesco, in modo che mai più in avvenire un
cinese osi guardare di traverso un tedesco.”3
Non solo, il Governo cinese, il 21 giugno dichiarava guerra alle
potenze europee e la questione cinese degenerava in modo
irrecuperabile. In quel Giugno, le città di Pechino e TienTsin,
erano sotto assedio dell’esercito regolare cinese e delle truppe
irregolari dei boxer. A difendere diplomatici, civili e cinesi
cristiani, erano poche centinaia di militari, tra cui i marinai
italiani che emergevano per valore e coraggio. Si legge di quelle
settimane: “Duranti i mesi d’assedio, che
ebbero sopportare gli stranieri in queste due città, i marinai
italiani compirono indimenticabili atti di valore.”4
Al quartiere delle delegazioni europee, i marinai italiani, insieme
al resto del contingente internazionale, nonostante l’inferiorità
numerica schiacciante, riuscivano a frenare l’avanzata dei boxer e
si distinsero per valore e coraggio. Scrivevano di quei giorni “…Il
nostro Ministro…Salvago Raggi… chiamò infatti a Pechino un
distaccamento di Marina comandato daltenente di vascello Paolini ed a
Tien Tsin un secondo distaccamento col sottotenente Ermanno
Carlotto…Durante i mesi dell’assedio che gli stranieri ebbero a
sopportare in queste due città, i marinai italiani compirono
indimenticabili atti di valore. Il Tenente Paolini, benché con soli
28 uomini, fece brillanti e parecchie sortite, catturando una
batteria di boxer che tempestava la delegazione…Il sottotenente
Olivieri riuscì a liberare le sue seriamente minacciate nel convento
di Paoting, difendendosi eroicamente dagli assalti nemici, i quali
facendo brillare una mina lo costrinsero a rimanere coi suoi marinai
per circa due mesi e mezzo fra le più dure privazioni…”5
In quegli scontri morivano centinaia di boxer e anche dei militari
italiani, una decina circa. I militari italiani, per il grande
valore e coraggio dimostrato, si guadagnarono importanti
onoreficenze, come Federico Tommaso Paolini
e Angelo Oliviero che
si vedevano conferire la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Il primo
con questa motivazione: “Per avvedutezza,
coraggio e sangue freddo dimostrato durante la difesa della legazione
a Pekino rimanendo ferito il 1° luglio 1900 mentre alla testa dei
suoi marinai si slanciava all’assalto di una barricata sotto la cui
protezione un pezzo nemico cagionava gravi danni”6
mentre il secondo invece per questa: “Per
avvedutezza, coraggio e sangue freddo dimostrato durante la difesa
delle missioni cristiane al Pe Tang (Pekino). Alla testa dei suoi
Marinai costrinse a sloggiare due cannoni nemici che tiravano contro
le improvvisate difese, salvando la parte nord del a Tang. (24
giugno 1900). Rimase inoltre sepolto per circa 40 minuti sotto le
macerie , prodotte dallo scoppio di una mina che cagionò la morte di
cinque marinai italiani e più di cento cristiani ricoverati nella
missione. (12 agosto 1900)”7
Nel luglio del 1900, le otto nazioni mandavano un grosso contingente
militare per sedare la rivolta, ormai divenuta un fiume in piena.
La Tribuna Illustrata che da notizia della partenza |
I
soldati italiani partivano il 19 luglio 1900 dal porto di Napoli. Il
Corpo di spedizione italiano era comandato dal Colonnello Vincenzo
Garioni e composto da circa 2000 uomini: 83
ufficiali e 1882 soldati. I militari italiani venivano caricati su 3
piroscafi erano: Singapore, Minghetti e Giava.8
Quel giorno il porto di Napoli era gremito di uomini e donne, le
fonti ci dicono 200 000 persone, che arrivavano per portare un saluto
ai militari italiani. Presenziava anche il Re
Umberto9
che ai soldati italiani pronunciava questo
discorso: “Ufficiali, sotto Ufficiali,
Caporali, Soldati! A voi, pronti a salpare, porto il mio saluto e col
mio quello della Patria bene augurante della fortuna delle vostre
armi. Non a conquista, ma a sola difesa del sacro diritto delle genti
e dell’umanità calpestati voi vi recate in lontana regione, dove
la nostra bandiera è stata oltreggiata. Alla vostra missione avrete
come già altre volte compagni, soldati delle più potenti Nazioni
del mondo. Siate con essi buoni camerati e sappiate tener alto il
prestigio dell’esercito italiano e l’onore del nostro paese.
Andate quindi fiduciosi: io vi accompagno col cuore. Iddio benedica
la vostra impresa. UMBERTO.”10
Tra quei soldati c’era uno scandianese, Bertolini Francesco.
FRANCESCO BERTOLINI IN CINA |
Nato il 18 maggio 1879 e figlio di
Sebastiano, Francesco veniva inquadrato nel 4° Reggimento
Bersaglieri. Bertolini insieme al contingente italiano, arrivava il
12 agosto a Singapore, poi il 20 ad Hong Kong e infine il 29 agostoa
Taku. Ad attenderli nella baia di Taku c’erano 4 navi da guerra
italiane, erano: Elba, Fieramosca, Calabria e Vettor Pisani.11
La guerra per sottomettere i rivoltosi fu tremenda e sanguinosa e in
entrambi i casi si registravano esecuzioni sommarie e crimini ai
danni di civili. Quest’ultimo caso specialmente tra le fila dei
boxer, che inveivano contro i civili di fede cristiana. Del
contingente partito il 19 luglio 1900, Bertolini fu tra gli ultimi a
rientrare in Italia, infatti sbarcava al porto di Napoli il 26
dicembre 1901, dopo oltre un anno di guerra e una ferita che aveva
conseguito durante il conflitto. Il 24 gennaio 1901 infatti, durante
la Campagna di Cina, il bersagliere scandianese si feriva al
ginocchio sinistro mentre faceva la guardia al Palazzo del Governo.
Francesco Bertolini,
inoltre, anni dopo la Campagna di Cina, prendeva parte alla Grande
Guerra, dove aggregato al 209° Reggimento Fanteria, raggiungeva il
fronte il 12 aprile 1917. Dopo la Grande Guerra, Bertolini si
dedicava alla vendita di materiali edili e proprio a Ca de Caroli
dava vita alla sua impresa famigliare. Negli anni 20 faceva costruire
la sua casa, dove per tanti anni,risiederà il tabacchino del paese.
Ancora oggi, sulla facciata dell’edificio, si legge “BERTOLINI
FRACENSCO FECE COSTRUIRE NEL 1925”.
Ma ora
torniamo alla rivolta dei Boxer.
Come ho già
accennato, questi nazionalisti cinesi erano spietati soprattutto con
i civili di fede cristiana. Alcuni di quest’ultimi verranno poi
beatificati e fatti Santi da Papa Giovanni
Paolo II nel 2000, scatenando un’accesa
polemica con il Governo Cinese. Di quei “martiri”
come li definì la chiesa vaticana, riporto la storia di una giovane
ragazzina: Anna Wang.
La sua tragica storia la porto ad esempio per tutti gli altri. Nata
nel 1886 fu battezzata in tenera età. Quando scoppiò la “rivolta
dei boxer” i villaggi vennero presi
d’assalto, i rivoltosi bruciavano le chiese e mettevano i fedeli
davanti ad una scelta: o convertirsi o morire. Anna nonostante fosse
ancora una ragazzina di appena 14 anni scelse la seconda. Davanti
alla sua fossa, scavata poco prima, le si intimò più volte di
rinnegare Dio, anche con la violenza ma nulla, la sua fede era
inattaccabile. Ci racconta di quel fatto lo storico e teologo Etienne
Ducarnot: “Assassinarono
donne e bambini come la piccola Anna Wang, quattordicenne, che i suoi
torturatori vollero forzare all’apostasia. Al suo rifiuto, le fu
tranciata la spalla con un colpo di sciabola. Anna tenne botta e
rifiutò di nuovo; al secondo colpo di sciabola, cadde in ginocchio
dicendo <la porta del cielo è aperta…Gesù…Gesù…Gesù!>
Il suo volto rifletteva una una gioia celeste. Al terzo colpo di
sciabola la sua testa rotolò al suolo.”12
Anna moriva così, a soli 14 anni e per la sua unica “colpa”:
credere in Dio. La conta dei cinesi cristiani assassinati come Anna,
ammontava ad oltre 32000 persone, uccise in modo atroce, proprio come
Anna. La fine delle ostilità si raggiungeva il 7 settembre 1901,
quando l’Imperatrice Cixi
firmava la resa alle 8 potenze. Il trattato era pesantissimo per la
Cina, umiliante aggiungerei. Al principe Ch’un
per esempio, fu imposto di andare a chiedere scusa personalmente in
Germania: “si sarebbe recato a Berlino per
esprimere all’Imperatore di Germania il rincrescimento
dell’Imperatore della Cina e del Gran consiglio per l’assassinio
del barone Von Ketteler; nel luogo ove questi era stato ucciso
sarebbe stato eretto un monumento.”13
Oltre l’umiliazione per la Cina veniva
anche il lato economico, che era devastante. Doveva pagare un
indennizzo di 450 milioni di teal, cioè 67 milioni di sterline, che
era una somma ritenuta anche dagli Stati Uniti abnorme. Inoltre
perdeva il controllo delle dogane marittime e concedeva nuove
concessioni, come all’Italia, alla quale cedeva la città di Tien
Tsin. Questa concessione rimaneva sotto
giurisdizione italiana fino al 1943, quando dopo l’armistizio
dell’8 settembre 1943, i soldati giapponesi occupavano la città.
Per questa cessione, il documento sottoscritto da Cina e Italia cita
l’Art 3 “Tutto il terreno governativo
della detta Concessione sarà dato dal Governo cinese gratis al
Governo italiano, che ne diverrà regolare proprietario senza alcun
pagamento.”14
Dopo la resa
dell’esercito cinese e dei boxer, come ho scritto, un primo
scaglione di militari italiani faceva ritorno in Patria e all’inizio
del 1902, di quei soldati partiti nel luglio 1900, quasi tutti erano
ritornati, compreso Bertolini Francesco.
Anche se la guerra era finita, fino al 1905 alcuni soldati italiani
rimanevano in Cina per garantire l’ordine e tra questi c’era uno
scandianese: Rossi Aurelio.
AURELIO ROSSI IN CINA |
Nativo di Ventoso e classe 1881, Aurelio veniva inquadrato in
Fanteria e il 5 settembre 1903 partiva dal porto di Napoli alla volta
di TienTsin. Nel 1905 anche questa missione si concludeva e tutto
senza scontri, infatti, dopo la rivolta dei
boxer, l’ordine e la pace regnavano nel
territorio. In quel 1905, si concludeva ufficialmente la “Campagna
dell’Estremo Oriente”. Anche Rossi, come
Bertolini, una volta scoppiata la Grande Guerra partiva per il fronte
e già dall’ottobre del 1915, si trovava nelle trincee. Dopo appena
un mese, veniva ferito mentre partecipava alle battaglie sul Monte
Merzly, dove, insieme agli altri soldati italiani, riusciva ad
espugnare trinceramenti nemici. Scriveva Cadorna del giorno in cui
veniva ferito Rossi “…Nella zona del Monte
Nero le nostre truppe rinnovarono ieri gli attacchi su ripidi fianchi
del Merzly e del Vodil. Dopo alterne vicende di lotta accanita, forti
trinceramenti nemici rimasero in nostro possesso…”15
Per questa azione veniva autorizzato a fregiarsi di un distintivo
d’onore per la ferita riportata. Dopo la convalescenza, Aurelio
tornava al fronte e combatteva fino alla fine del conflitto. Nel
1918, aggregato al 138° Fanteria, si trovava in Albania e lì, dopo
la famosa data del 4 novembre 1918, che rappresentava la vittoria e
la fine delle ostilità, Aurelio invece trovava la morte. L’11
novembre infatti, dopo giorni di febbre alta, spirava in un letto
d’ospedale; purtroppo per lui, la vittoria e la fine del conflitto
non gli avevano salvato la vita.
Ma ora
torniamo a TienTsin.
La
storia di quella concessione italiana è sempre rimasta nell’angolo
in Patria, infatti fin da quel lontano 1901, sia alla politica che al
commercio, in Italia non interessava di quella piccola concessione
così lontana. Anche la storiografia nazionale ha affrontato
pochissimo quella realtà italo-cinese. Oggi il quartiere definito
Italian Style Town
oppure Italian Style Street,
che rappresenta la vecchia concessione italiana, è una zona molto
frequentata da turisti, sia cinesi che stranieri. E’ una zona della
città molto suggestiva in cui sono ancora presenti le ville e i
palazzi italiani, oltre che piazze e monumenti. Si può vedere per
esempio, Piazza Marco Polo,
originariamente Piazza Regina Elena,
realizzata in Onore della vittoria italiana nella Grande Guerra. Poi
la Caserma dedicata ad Ermanno Carlotto,
che ospitava durante la concessione il Reggimento San Marco, oggi
centro della Polizia armata del popolo.
Oppure il Palazzo della cultura, eretto durante il fascismo e che
oggi rappresenta un importante centro sportivo.16
Anche in questo caso, il palazzo è stato inserito tra gli edifici
da tutelare, fasci littorio compresi, questo per cercare di
preservare l’edificio e la sua storia. Il Governo cinese infatti,
rivolge a questo quartiere e i suoi edifici, politiche di
valorizzazione e conservazione per mantenere vive le radici italiane.
Queste politiche vengono ripagate da un flusso turistico notevole
composto da cinesi e stranieri. Consultando anche il noto sito web
dedicato al turismo, Tripadvisor,
si può notare come il quartiere italiano brulichi di vita e di come
gli edifici italiani siano i veri protagonisti. Dopo oltre un secolo
da quel lontano 1901, anno in cui cominciava la concessione italiana
di TienTsin, credo che
anche quei due scandianesi che hanno partecipato e messo le basi a
quel mezzo secolo di storia italo/cinese, finalmente abbiano il loro
giusto ricordo, perché quella storia l’hanno scritta da
protagonisti. Questo mio articolo è un omaggio a loro, ad eterno
ricordo.
NOTE:
1
V. PURCELL, la rivolta dei boxer, RIZZOLI, 1972, p.94
2 Ibidem, Op, Cit, p. 84
3
LIU HUNG YUAN CINA: Storia Società e tradizioni, arte e
cultura, religione e filosofia, Edizioni Pendagron, Bologna, 2000, p. 19
5 Ibidem, op, cit., p.7
6
Motivazione presa dall’Istituto del Nastro Azzurro
7
Motivazione presa dall’Istituto del Nastro Azzurro
8
LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN, op, cit., p.8
9
Dopo pochi giorni da quel 19 luglio, Re Umberto I veniva
assassinato per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Era il
29 luglio e il luogo del regicidio era Monza. Questa triste storia
nazionale non poteva che avere reazioni a Reggio Emilia e
chiaramente anche a Scandiano, infatti la cittadina dei Boiardo, fu
uno dei primi comuni a lutto della provincia e il 31 luglio il
municipio pubblicava un manifesto di indignazione per l’orrendo
misfatto, inviando alla Regina un telegramma di sincero compianto.
Dalle finestre del municipio, degli edifici pubblici e privati, era
esposta la bandiera in lutto, la campana maggiore del paese ha
suonato lentamente per molto tempo annunciando la grave sciagura. I
negozi e gli istituti rimanevano chiusi con la scritta lutto
nazionale. Solo dopo pochi giorni, il 5 agosto, a Scandiano si
annunciava la costituzione di un comitato per raccogliere fondi in
vista della cerimonia funebre in onore del Re. Anche il comitato
interparrocchiale cattolico scandianese interveniva pubblicando un
manifesto con scritto “Il sangue fetido della rivoluzione
scorre ancora nelle vene delle decrepita Europa, ed ogni giorno più
ne addolorano i tristissimi effetti. La società civile, spostata
dalle sue vere basi, gettata in braccio ad una libertà falsa,
sfrenata e mercenaria, ha inaugurato l’era nuova spingendo Luigi
XVI sotto la mannaia, e chiude un secolo, detto luminoso, aggredendo
oscenamente in Umberto I° il principio d’autorità con un delitto
che ripugna ad ogni senso umano. Domani comparirà davanti alle
Assise di Milano l’esecrato Regicida; ma quel disgraziato qual
cumolo di responsabilità rappresenta! Gli scristianizzatori del
popolo, i nemici della chiesa, e quindi d’ogni principio d’ordine
vero, debbono con lui rispondere delle infine ribellioni al trono ed
all’altare. I cattolici scandianesi, fra la mestizia del rito
espiatorio che si compirà domani nella chiesa di Dio, preghino
perché colui che fece sanabili le Nazioni, si muova a pietà del
suo popolo e lo salvi; perché gli effetti spaventosi di un’empia
filosofia ne insegnino una buona volta, che solo può sperarsi
salvezza dalla fede avita. Se il mostruoso avvenimento del 29 luglio
segnerà il principio di un profondo risveglio religioso, oh quanto
il RE sarà lieto d’aver dato il sangue per la patria, che tanto
amava! A noi cattolici soltanto è dato di fecondare colle preghiere
e colla carita del Cristo i germi della restaurazione sociale; chi
vuol farlo senza Dio, tradisce la civiltà”.
Per la
ricostruzione delle cronache di quei giorni, ho attinto le notizie
dal quotidiano L’Italia Centrale del 2 e 7 agosto 1900 e dal
settimanale l’Azione Cattolica del 2 agosto 1900
12
E. DUCORNET, La Chiesa e la Cina, Jaca Book Spa ,Milano, 2008, p. 39
13
V. PURCELL, la rivolta dei boxer, op, cit., p.328
14
LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIENTSIN, Op, Cit., p.15
15
Bollettino di Guerra del 29 novembre 1915
16
Per chi vuole guardare la TienTsin durante la concessione
italiana, in cui si vedono anche gli edifici menzionati, suggerisco
di visionare il Cinegiornale dell’Istituto Luce, nella puntata
Visita alla Città di Tien-Tsin al sito:
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